Per il tempo quaresimale
LA QUARESIMA: ITINERARIO DI FEDE, DI PENITENZA, DI CARITA'
La Quaresima é un tempo “forte” tutto orientato verso la Pasqua, cuore e vertice dell'anno liturgico. Di origini antichissime, la quaresima prende corpo nel IV secolo, per i catecumeni e per i penitenti. Infatti si è andata sviluppando attorno al suo duplice carattere di preparazione e di “memoria” del battesimo e di tempo penitenziale. Per molti, per i più forse, l'idea della quaresima é rimasta legata a qualche atto di mortificazione personale, distaccata dal resto della vita e dal contesto comunitario. Essa invece è - nel suo insieme - un itinerario di fede, di penitenza e di carità per tutto il popolo di Dio.
• Come itinerario di fede la quaresima fa ripercorrere le tappe del cammino “catecumenale” attraverso la catechesi e un più assiduo ascolto della parola di Dio proposta alla comunità secondo un disegno pedagogico ben mirato. E' come se la comunità ridiventasse ancora “catecumena” per giungere poi a ri-proclamare nella gioia la professione di fede, dopo aver di nuovo rinunciato agli “idoli” e alla logica del peccato e scelto Cristo come unico Signore. E’ questo il vero significato di quanto la liturgia della notte di Pasqua domanda con la “rinnovazione delle promesse battesimali”. Si tratta di camminare “in novità di vita”, attuando il comandamento nuovo dell'amore verso Dio e verso il prossimo.
• Come itinerario di penitenza, che ha il suo solenne inizio con l’imposizione delle ceneri – nella liturgia romana - la quaresima può essere definita “una scuola di pentimento” (Alexander Schmemann, in “La grande quaresima”) perché educa a riconoscere il proprio peccato come singoli e come comunità; non solo a riconoscerlo, ma anche a porvi rimedio per il danno procurato al prossimo e alla chiesa. La penitenza quaresimale non può quindi limitarsi ad essere “interna ed individuale”, deve essere anche “esterna e sociale” (cfr. Sacr. Concilium, 110). Lo esige il dovere della riparazione sia dei peccati sociali che delle conseguenze che i peccati personali producono nella chiesa e nella società.
Infatti i peccati sociali quali, per esempio, quelli contro la vita (aborto, eutanasia, omicidi, guerre, ecc.), le ingiustizie ai diversi livelli, l'inquinamento dell'ambiente naturale, la sottrazione di risorse per altri scopi - talora inaccettabili , come le spese per gli armamenti, invece di impiegarli per combattere la fame nel mondo e le malattie, il consumismo, la sola logica del profitto nell'economia... per essere sradicati servono risposte collettive proporzionate, che solo un cambiamento di mentalità (conversione), una cultura ispirata al Vangelo ed un largo coinvolgimento possono assicurare. In questa ampia prospettiva la quaresima assume il carattere di “un digiuno grande e generale” (S. Agostino), che comporta in primo luogo la rinuncia al peccato (egoismo) e ai suoi frutti ed esige apertura ai bisogni dei fratelli, ai quali viene destinato ciò di cui ci si priva, secondo l'antica logica cristiana del “privarsi per condividere”, già espressa nel “noi digiuniamo e perciò doniamo” di S. Agostino.
Il digiuno libera dalla invadenza di ciò che é materiale per ridare il primato a ciò che é spirituale (“non di solo pane vive l'uomo”) favorendo un atteggiamento di distacco dai beni materiali e di mortificazione del corpo che ha nell'astinenza dalle carni dei venerdì di quaresima e nel digiuno del mercoledì delle ceneri e del venerdì santo, un segno condiviso da tutta la comunità che obbliga gravemente tutti i fedeli.
Anche il sacramento della penitenza va celebrato collocandolo in questo cammino di revisione di vita e di conversione compiuto attraverso l’esercizio delle opere di misericordia, che rivestono la forza di un gesto di riconciliazione, restituendo ai poveri, ai deboli e ai dimenticati ciò che è stato tolto.
• Come itinerario di carità alimentato dalla parola di Dio che di continuo richiama la comunità cristiana, riunita in assemblea, a ricordarsi dei diritti “dello straniero, dell'orfano e della vedova”, mediante le opere di giustizia e di carità.
Qual’è, infatti, il digiuno che gradisco – dice il Signore - se non “spezzare le catene inique, rimandare liberi gli oppressi, accogliere il forestiero...”, ****cui fa eco la parola di Pietro “vergognatevi voi che trattenete le cose altrui, imitate piuttosto la bontà divina e così nessuno sarà povero”****. Solo i gesti concreti dimostrano che la parola di Dio sta cambiando la logica della vita dei credenti. E la cambia misurandola sull'attuale situazione sociale, che attende una risposta adeguata ai gravi problemi che la travagliano, secondo una linea di “missionarietà che ama la gente povera” ed ha il coraggio di donarsi “senza riserve” (cfr. La Chiesa in Italia dopo Loreto, n. 22, n. 51). Questo impegno di testimonianza diventa realizzabile ad una condizione: la comunità si dia il tempo e gli strumenti per vedere, riflettere e agire. Di qui l'urgenza di pensare ad un “Centro di ascolto “ o ad un “Osservatorio permanente delle povertà” in grado di offrire quei dati che riflettano “le dinamiche dei problemi della gente” in ordine ad un “coinvolgimento sistematico della chiesa locale” (cfr. La Chiesa in Italia dopo Loreto, n. 22). Così il pane eucaristico spezzato sulla mensa dell’assemblea conduce la comunità a “spezzare la propria vita” per farne dono, secondo la misura della carità concessa a ciascuno dallo Spirito di Dio.
Maria, figura della chiesa, contemplata accanto alla croce di Cristo sollecita anch'essa la presenza della comunità ai piedi delle infinite croci degli uomini per recare il conforto e il rimedio dell'amore. ma anche per apprendervi nuovi insegnamenti.
* Ci guidi nel cammino quaresimale la splendida catechesi di S. Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna e dottore della chiesa ( V sec.) che pubblichiamo di seguito.
* LE OPERE DELLA QUARESIMA di S. Pietro Crisologo Vescovo
• La preghiera, il digiuno, la misericordia
Tre sono le cose, tre, o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno, la misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l'una dall'altra. Il digiuno è l'anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente unao non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda.Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica.
• “Chi digiuna ascolti chi ha fame"
Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia compassione, chi spera compassione. Chidomanda pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. È un cattivo richiedente colui che nega agli altri quello che domanda per sé. O uomo, sii tu stessoper te la regola della misericordia. Il modo con cui vuoi che si usi misericordia a te, usalo con gli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Offri agli altri quella stessa pronta misericordia, che desideri per te. Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un'unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un'unica difesa, un'unica preghiera sotto tre aspetti. Quanto col disprezzo abbiamo perduto, conquistiamolo con il digiuno. Immoliamo le nostre anime col digiuno perché non c'é nulla di più gradito che possiamo offrire a Dio, come dimostra il profeta quando dice: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, tu, o Dio, non disprezzi» (Sal. 50, 19).
• "Dài a te stesso, dando al povero"
O uomo, offri a Dio la tua anima ed offri l'oblazione del digiuno, perché sia pura l'ostia, santo ilsacrificio, vivente la vittima, che a te rimanga e a Dio sia data. Chi non dà questo a Dio non sarà scusato, perché non può non avere se stesso da offrire. Ma perché tutto ciò sia accetto, siaaccompagnato dalla misericordia. Il digiuno non germoglia se non è innaffiato dallamisericordia. Il digiuno inaridisce, se inaridisce la misericordia. Ciò che è la pioggia per la terra,è la misericordia per il digiuno. Quantunque ingentilisca il cuore, purifichi la carne, sradichi ivizi, semini le virtù, il digiunatore non coglie frutti se non farà scorrere fiumi di misericordia. Otu che digiuni, sappi che il tuo campo resterà digiuno se resterà digiuna la misericordia. Quelloinvece che tu avrai donato nella misericordia, ritornerà abbondantemente nel tuo granaio.Pertanto, o uomo, perché tu non abbia a perdere col voler tenere per te, elargisci agli altri e allora raccoglierai. Dà a te stesso, dando al povero, perché ciò che semplicemente avrai lasciato in eredità, tu non lo avrai."
(S. Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna e dottore della chiesa ( V sec.) - Discorso 43; Pl.52, 320 e 322)
Per il tempo Pasquale
IL CROCIFISSO E’ RISORTO
La “notizia” non ha eguali ed ha sconvolto il mondo e la vita degli uomini, da quella dei discepoli che credevano in Lui, ma la cui passione e morte - anche se da Lui annunciata - li aveva gettati nella disperazione: il Signore crocifisso è risorto. Le donne ed i discepoli Pietro e Giovanni videro per primi il sepolcro vuoto ed il Signore che apparve loro dicendo: “Pace a voi!”. Mai prima d’allora la parola “Pace” aveva assunto un significato così vero, così gioioso, così pieno di salvezza, trasformata in vittoria definitiva sulla morte, causata, la sua e la nostra, dal peccato.
Da allora la “notizia” corse di bocca in bocca: “Il Signore è veramente risorto!” ed ha attraversato i secoli. È questo l’annuncio che il cristiano dovrebbe, più di ogni altro, ripetere a sé e agli altri, credenti e non. Dalla risurrezione scaturì una vita totalmente nuova ed una luce così forte ed inesauribile da illuminare gli occhi dei discepoli che “furono con Lui” e che ne “condivisero le prove fino dall’inizio”, ne ascoltarono i suoi insegnamenti, videro i miracoli e udirono stupefatti “vi farò pescatori di uomini!”.
Gesù è il Signore!
Il Padre, con la resurrezione, “lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Inno della lettera di S. Paolo ai Filippesi). Per cui “non è dato agli uomini altro nome sotto il cielo nel quale possano essere salvati”. Ciò vale per ogni credente, a qualsiasi religione appartenga e vale per ogni uomo, anche quando non ne è consapevole. Noi lo siamo perché ci è stato rivelato. È perciò un’affermazione che non nasce da una pretesa ma dal conoscere che il Padre ha messo su di Lui il suo sigillo ed ha rimesso nelle sue mani il giudizio di tutte le creature e di tutte le genti.
Il cristianesimo è Cristo crocifisso e risorto
Chi è cristiano cioè di Cristo, sa, crede e “dice” che Lui è il solo vero, unico necessario Salvatore per tutti, il Principio e il Capo dell’umanità redenta e rinnovata. Questa affermazione di fede non è contraddetta, ma rafforzata dal nostro sguardo “benevolo”, - come insegna il Concilio Vaticano II - verso le religioni non cristiane e su coloro che vi appartengono, ispirati dal rispetto delle varie civiltà e culture, nelle quali sono presenti brani di verità, i “semi del Verbo” - secondo la bella espressione coniata nei primi tempi della chiesa, quando, più di ora, il problema si poneva già a livello di riflessione teologica e i cristiani che erano, di fronte al “mondo pagano” una minoranza, lontani dalle sue credenze e dalle sue filosofie di vita che se avevano una loro riconosciuta saggezza, tuttavia non portavano la salvezza. Soprattutto i cristiani si sentivano tanto diversi a motivo della fede nella divinità di Cristo e nel valore universale del suo sacrificio offerto per la redenzione del mondo. Morto per tutti divenne: “Sacramento universale di salvezza” perché “Il Padre ha mandato suo Figlio, come Salvatore del mondo” (1 Giov. 4,14), quale “Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (Giov. 1, 19).
La fede che salva
Il nucleo centrale della salvezza sta nella morte e nella risurrezione del Signore con le quali il mondo è stato salvato, una volta per sempre. Da parte nostra non basta credere occorre manifestare questa fede, con umiltà, perché è dono, e con coraggio perché è “dovere”. Il “credo” riassume con chiarezza la fede della chiesa: “Credo in un solo Signore Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, (...), Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero”. (...) Egli “patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto, discese agli inferi ed il terzo giorno risuscitò da morte”. Cui seguì la glorificazione definitiva: “Salì al cielo e siede alla destra di Dio Padre onnipotente. Di là verrà a giudicare i vivi e i morti ed il suo regno non avrà fine”. La Persona ed il messaggio di Cristo entra nella storia della religiosità umana, ma con la sua assoluta originalità e unicità. Infatti “La verità che è Cristo si impone come autorità universale” (Fides et ratio, 92).
Cristo salvatore dell’universo
Egli, il Cristo, non è solo il Salvatore dell’uomo, ma è il centro, la chiave della storia e dell’universo intero. Ne è la spiegazione ultima: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui ed in vista di Lui”. Infatti “Dio ha posto tutto sotto i suoi piedi e lo ha anche costituito Capo di tutta la chiesa, la quale è il suo Corpo”. Egli è la pienezza perciò “Tutte le cose sono vostre, voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (I Cor. III, 23). Cristo è il paradiso ricreato e ritrovato. Il battesimo, frutto della pasqua ne è l’inizio. Dice un testo antico: “Alle mie labbra si accostò un’acqua parlante, proveniente dalla sorgente del Signore. lo ho bevuto e sono stato inebriato dall’acqua viva” che non muore. Ho abbandonato la follia, che sulla terra è tanto diffusa, ma ne sono stato spogliato e l’ho respinta lontano da me. Il Signore mi ha rinnovato nell’intimo con la sua vita e mi ha rivestito con la sua luce. Ho adorato il Signore a motivo della sua gloria dicendogli: ”Beati quelli che sono piantati sulla terra e per i quali è stato preparato un posto nei cieli”. (XII Ode di Salomone).
L’Eucarestia rinnova la Pasqua
“Saziati dal tuo cibo spirituale, ti supplichiamo, Signore onnipotente, insegnaci mediante la partecipazione a questo mistero a guardare dall’alto ciò che passa ed ad amare ciò che è definitivo. Così liberati dai vincoli e dalle concupiscenze che portano alla morte, concedi di essere partecipi del regno della libertà che non avrà fine” (Sacramentario gelasiano, n. 1124). La partecipazione a questo sacramento ci sostenga nel corpo e nello spirito, perché possiamo godere della pienezza del tuo dono. E come frutto “Ti lodino Signore le nostre labbra, ti lodi la nostra anima, ti lodi la nostra vita e poiché quel che siamo è tuo dono, tuo sia tutto ciò che viviamo”.
Abbiamo bisogno dei “lontani”
La preghiera insistente della chiesa che intercede per la salvezza di tutti gli uomini è la conseguenza della sua fede nell’unico Salvatore che è Gesù Cristo. Ne è specchio fedele il racconto della Passione secondo S. Giovanni che viene proclamato il venerdì santo e la preghiera universale per tutti gli uomini, perfino per gli atei, che la chiesa innalza a Dio Padre guardando alla croce di Cristo. Dopo aver proclamato: “Ecco il legno della croce alla quale è appesa la salvezza del mondo”, dichiarando che tutti gli uomini hanno bisogno di Cristo e della sua redenzione. Noi abbiamo bisogno dei “lontani” e preghiamo, intercedendo perché ritornino alla casa nella quale sono “nati” e dalla quale si sono allontanati. Consapevoli che Dio li attende, anche la comunità ne invoca il ritorno.
Essi possono essere lontani fisicamente da noi - e ce ne accorgiamo - ma non necessariamente da Dio che solo vede i cuori e le coscienze, mai dimentichi che Dio “opera tutto in tutti”. È dunque Dio che salva e non noi, anche quando siamo buoni e neppure è la nostra testimonianza che salva anche quando è sincera perché sempre imperfetta e povera, incapace di salvare perché umana, e spesso anche poco attraente per coloro che sentendo grandi problemi interiori, hanno grandi attese spirituali e attendono risposte che non sempre trovano. Noi non siamo la risposta, noi non siamo ne il centro ne i salvatori. Non lo è neppure la chiesa ma solo Cristo suo Signore che la salva e alla quale ha affidato i doni della Parola e dei sacramenti perché a tutti possano giungere.
Ad essi diciamo: non guardate a noi, come a chi ha la pretesa di essere migliore o senza peccato, ma guardate, con noi, a Cristo Signore. Ci accompagni l’umiltà che ne deriva dalla coscienza di essere stati perdonati per primi, perché peccatori. Questo ci rende consapevoli che si può essere fisicamente vicini ma lontani da Lui. Come il fratello maggiore della parabola del figliol prodigo, osservante sì, ma non buono, che non aveva capito né il dolore né l’amore del padre e non amava il fratello che si era perduto ed era stato ritrovato e non voleva accettare le ragioni della festa che partivano dal cuore. Così avviene che chi è lontano può essere più vicino a Dio e chi è vicino essere più lontano. Ai “lontani” dall’assemblea liturgica e dai sacramenti, la chiesa dice: gli anni della lontananza possono essere annullati dall’”attimo di grazia” e di luce, che Dio concede a chi vuole e quando vuole, quando trova la porta aperta o almeno socchiusa.
Il mondo è a rischio perché infedele a Dio
II mondo é a rischio perché l'umanità di oggi è prodiga e sperimenta che la lontananza quando é colpevole perché voluta, deraglia la vita. E' necessario riaccogliere dentro di sé come norma di vita i "Dieci comandamenti” che Dio diede a Mosè sul Monte come “via maestra” per giungere alla salvezza, in questa e nell’altra vita, dicendo: “Osserva i comandamenti e vivrai!”.
È l’infedeltà nostra che tradisce e che porta il mondo alla rovina che ci siamo procurata con le nostre mani. Il “rischio” lo stiamo vivendo da tempo per l’immoralità diffusa e per la violenza nelle famiglie, che colpisce al cuore la società e la chiesa, per la guerra e le imprese criminali del terrorismo, che per la tenacia e per i mezzi che la tecnica mette oggi a disposizione, sta cambiando la vita per tutti i popoli, rendendola incerta ed in continuo pericolo, come non avveniva dalla seconda guerra mondiale ed ora è, in certo modo, più grave, perché più imprevedibile e senza limiti di estensione territoriale, di crudeltà e di destinatari.
Eppure c’è chi continua a vivere come se niente accadesse e continua a pensare come se nulla fosse accaduto. Come sempre. Nessuna data pare scuoterlo: nè il 1989 con la caduta del muro di Berlino, né l’11 settembre 2001 per la tragedia delle Torri gemelle, né il recente 11 marzo, né i delitti nelle famiglie sempre più frequenti, né la violenza gratuita sui più deboli, quali i minori e gli anziani. Per la bramosia del piacere e per l’avidità del denaro. La Pasqua del Signore, che ha pagato il prezzo del peccato e della morte e li ha vinti, porti al mondo la pace! Quella del risorto che tutto rinnova.
Pasqua, grazia e libertà
Tutti sanno che Pasqua significa "passaggio": il passaggio del Signore ed in esso il passaggio, nella vita, da una condizione ad un’altra, tra loro opposte: morte e vita, schiavitù e libertà, peccato e grazia.
Il forte, anzi drammatico, contrasto tra le due situazioni la rende “segno” di qualcosa di immensamente grande, di un cambiamento che manifesta un intervento divino, talmente inaudito, da costituire una assoluta novità. Essa suscita in ogni tempo o la fede più certa o, per contrasto, l’incredulità più accanita quando non ci si vuole arrendere all’evidenza del miracolo. Esso impegna pensiero e vita, la Verità sempre esige una risposta personale. Chi crede di evadere, non pensandoci, si illude. Chi l’accoglie ne riceve, grazia e gioia.
La storia di un nome grande
La parola "Pasqua" affonda le sue radici alle sorgenti di una cultura, di una civiltà e di una spiritualità antichissime che la rendono carica di significati che coinvolgono diversi aspetti dell’evento i quali aprono davanti alla mente e alla vita orizzonti nuovi che ci permettono di "comprendere" e di vivere la Pasqua così come Cristo l’ha pensata, l’ha vissuta e celebrata. Egli era consapevole di dare, compimento alle "prefigurazioni” rituali, sociali e cosmiche che ne stanno all’origine e nello stesso tempo di cambiarla con un contenuto completamente nuovo, costituito dalla sua divina Persona, dalla sua passione, morte e risurrezione. San Paolo lo dice in modo preciso: "Cristo è la nostra Pasqua!". In questa affermazione tutto si riassume e tutto rivive.
La Pasqua liturgica d`Israele, che fa memoria degli avvenimenti storici, che risalgono alla liberazione dalla schiavitù d’Egitto ed al passaggio del Mar Rosso per entrare nella Terra promessa e che ripresenta i significati che lungo i secoli sono stati celebrati, è la stessa Pasqua che Gesù celebrò da quando, all'età di dodici anni, i suoi genitori, come dice il Vangelo, lo condussero a Gerusalemme "per la festa di Pasqua".E perciò di grandeimportanza conoscere come si svolgeva la festa liturgica di Pasqua, quali le idee in essa dominanti,quale il clima spirituale,quale la "memoria", quali i riti,nel tempio e nelle case, quale il coinvolgimento del popolo perchè è questa la Pasqua che Gesù dapprima e i cristiani poi conobbero e condivisero. E’ questa la Pasqua che diventò cristiana e che la chiesa da allora ha continuato a celebrare, da quando Cristo disse: "Fate questo in memoria di me". E da quando risuscitando da morte il Padre lo proclamò Signore. In questo senso la Parola di Dio scritta e proclamata, oggi come ieri, che narra la storia, cioè gli avvenimenti, riempie di contenuto la liturgia, e la liturgia celebrata ravviva ogni volta la storia, rendendola attuale. Ambedue si cercano, e si completano, sono necessarie l’una all’altra, ambedue generano la festa, nella memoria e nei segni sacramentali.
La pasqua é redenzione e libertà vera
La parola-chiave che tutto riassume e tutto spiega è redenzione, che significa perdono, riscatto, e libertà ridonata da Dio. Redenzione infatti esprime il significato centrale della Pasqua antica e di quella nuova. Redenzione che si attua in ogni tempo, per Cristo, dalla schiavitù, dall’idolatria, dal peccato, dalla disperazione, dalla morte eterna. “Santo e il mistero di questa notte - canta la liturgia - che sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l’odio, piega la durezza dei cuori, promuove la concordia e la pace". Guarisce dai mali esterni e interiori.
Perciò il padre di famiglia al figlio che gli chiede: "Che cosa c’é di diverso questa sera da tutte le altre sere?" risponde: "Noi fummo schiavi del Faraone d’Egitto e di la ci fece uscire il Signore Dio Nostro con mano forte e braccio teso". Da notare che risponde: "Noi" e non "i nostri Padri" perché "in ogni generazione ciascuno è tenuto a considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto perché il Santo - benedetto Egli sia! - non liberò soltanto i nostri padri, ma noi pure liberò con loro". E’ l'affermazione più ardita della capacità della liturgia di rendere attuali gli "avvenimenti del passato, o meglio di rendere noi contemporanei degli avvenimenti di salvezza compiuti una volta per sempre. Bisogna allora proclamare e celebrare la vittoria di Colui che, per amore, fece per i nostri padri e per noi tanti e tali prodigi. Tutto é splendidamente riassunto in questo testo liturgico antico:
"Egli ci ha condotti
dalla schiavitù alla libertà
dalla tristezza alla gioia
dal lutto alla festa
dalle tenebre alla luce
dalla servitù al riscatto".
La Pasqua é grazia e vita nuova
E' soprattutto a Pasqua, che tutto é dono. Tutto é grazia: l'onnipotenza di Dio é messa a servizio del suo amore per noi. Se in modo meraviglioso ci ha creati, in modo ancora più meraviglioso ci ha redenti, mediante la morte e la risurrezione dell’Unigenito suo Figlio. Niente é più come prima: né la vita, né la morte, né la gioia, né il dolore, né il lavoro, né il riposo. Tutto cambia di senso, perché tutto è trasformato e santificato nella vicenda personale e nella storia collettiva. Anche le cose non sono più come prima, quasi slegate, a causa del peccato, dal destino di salvezza, ora invece sono partecipi, in Cristo, della nuova creazione. Dunque la sorgente divina della grazia è sgorgata per tutti e per sempre. I sacramenti sono i segni riconoscibili ed efficaci della sua misericordia per i quali viene rivolto a tutti l’invito: ‘“Attingete con gioia alle sorgenti della salvezza".
"Cantate al Signore un canto nuovo"
Ed il popolo di Dio, cioè il "suo" popolo, che gli appartiene perché creato da Lui e da lui redento, deve cantare! Deve cantare al Creatore e al Redentore, deve cantare per la liberazione dal peccato, deve cantare per la elezione a figli, mediante il battesimo, deve cantare nello Spirito Santo le grandi opere di Dio. Cantare la grazia, cantare la libertà, cantare la gioia, cantare per il dono della terra, madre feconda di beni, cantare la speranza dei beni eterni, già presenti nel mistero e promessi nella visione di Dio. Cantare perché il nemico, il demonio, é stato soggiogato e vinto e con lui il peccato e la morte. Per sempre e per tutti.
Con la Pasqua arde anche il fuoco nuovo della primavera, dal quale si accende il cero, simbolo di Cristo risorto, luce del mondo. Abbiamo bisogno di questo fuoco perché abbiamo bisogno della sua luce e del suo calore che la chiesa invoca all’inizio della grande notte: "O Dio che per mezzo del tuo Figlio, ci hai comunicato la fiamma viva del tuo splendore, benedici questo fuoco nuovo e fa che le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo e ci guidino, rinnovati nello spirito, alla gioia eterna del tuo regno». Questo è l’augurio di "buona Pasqua” che sgorga dai divini misteri e che rivolge a ciascuno di voi e a tutte le famiglie, mentre insieme imploriamo "giorni di pace" per la nostra Italia e per tutto il mondo, che stanno vivendo momenti difficili e pericolosi, in particolare per la Terra dove il Signore ha manifestato agli uomini il suo amore morendo sulla croce e la sua potenza, risorgendo a vita nuova. Da questa Terra ricominci il cammino della pace per tutta l’umanità.

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