IMMIGRAZIONE AL FEMMINILE
di Mons. Luciano Baronio
Una presenza singolare
Il fenomeno esteso e complesso dell'immigrazione, del quale, ormai da tempo, si parla e si scrive, raramente è stato considerato nella sua componente femminile che di anno in anno, è sempre più consistente. Questa "dimenticanza", chiamiamola così, é da considerarsi una lacuna sia dal punto di vista culturale che sociale, anche perché la "presenza" della donna, nel vivere una vicenda comune agli altri flussi migratori, ha una sua peculiarità inconfondibile per il modo di porsi e per la diversa considerazione che ne riceve - o non riceve! - sia da parte della società in genere che da parte delle istituzioni e delle leggi. Diciamo subito che lo “stato di immigrata” mette in maggior evidenza la condizione generale, oggettivamente più debole anzi, per essere precisi, discriminante, nella quale la donna - a qualsiasi latitudine e cultura appartenga - vive, in larga misura, ancora oggi. E’ un problema che suscita alcune domande: cosa dobbiamo pensare della situazione della donna immigrata presso di noi dai paesi del cosiddetto Terzo Mondo? E' da considerarsi, per lei, un passo in avanti o una retrocessione? L'essere qui in Europa le apre prospettive concrete di una vita diversa o è un’illusione? Insieme agli inevitabili problemi che un "cambiamento" del genere comporta, quale sicuro vantaggio può averne? Per poter tentare una risposta è necessario anzitutto confrontare la sua situazione attuale con quella di partenza, vale a dire quella che essa ha vissuto nel paese di origine o di provenienza.
La situazione della donna nel Terzo mondo
Negli ultimi tempi, grazie anche ai molti organismi nazionali per la promozione della donna - sollecitati dall'ONU e da altre iniziative di carattere internazionale e costituiti in vari paesi del Terzo mondo - sono visibili segni positivi di evoluzione. Essi riguardano però una minoranza di donne che, soprattutto nelle città, hanno migliorato sensibilmente la loro condizione. Hanno potuto accedere a scuole superiori, dedicarsi all’insegnamento, impiegarsi nel settore sanitario, prestare manodopera nel mondo artigianale, del piccolo commercio o dell'industria. Qualcosa si sta muovendo nella mentalità ed anche nell’atteggiamento di alcuni governi. In vari paesi, infatti, è stata abolita ogni forma di discriminazione legale tra i sessi e si è dato vita, qua e là, a "programmi speciali" per le donne, comprendenti anche servizi di assistenza giuridica per aiutarle a difendere i propri diritti. Tuttavia prevale una diffusa situazione di inferiorità, di marginalizzazione e di precarietà dal punto di vista sociale che, inevitabilmente, segna di sé in modo pesante - ed è questo forse il danno più grave - la donna anche sul piano personale, cioè nella sua identità e nella sua struttura psicologica. Ciò che gli altri (uomini) pensano di lei, condiziona la considerazione che essa ha di se stessa e del suo ruolo nella società. Ma soprattutto, ciò che balza all’occhio di chi osserva, dall'"esterno", la situazione della donna del Terzo mondo é la profonda contraddizione nella quale essa è costretta e nella quale si dibatte, con sofferenza, ma senza esito, almeno su un piano generale. Vale a dire: le società alle quali appartiene sono assai esigenti nei suoi confronti, perché gravano le sue spalle di molti pesi, ma nulla o quasi le concedono a livello di riconoscimento personale e di ruolo sociale. Basti accennare a tre ambiti di vita che risultano emblematici: la famiglia, il lavoro, la scuola.
• La famiglia. Quando vi arriva, la donna, non è accolta con Io stesso entusiasmo riservato al neonato maschio, ma soprattutto da giovane, da adulta, da sposa e da madre le è richiesta una presenza di servizio continuo. Il suo lavoro e le sue incombenze non finiscono mai. Alla donna spetta di pulire la casa, procurare e preparare il cibo e I'acqua - cosa tutt'altro che facile in molti paesi - rimediare il combustibile, ecc.; e naturalmente, generare e allevare figli. L’uomo mantiene, nella vita familiare, un ruolo egemone, mentre la donna rimane in situazione di assoluta subalternità, con poche possibilità di riuscire a far valere le proprie idee e le proprie esigenze. Può assurgere a simbolo, per la sua eloquenza, l’usanza, ancora assai diffusa del pasto quotidiano non contemporaneo. La donna che ha procurato ed ha preparato il cibo può mangiare solo in un secondo momento, dopo i maschi, e nel caso di insufficienza di cibo, deve cedere la sua parte.
• II lavoro. Il 70% delle donne del Terzo mondo vive in contesti rurali e porta il peso maggiore del lavoro della terra, costituendo così un "agente" importantissimo nel garantire l'autosufficienza alimentare della famiglia. Il suo lavoro, però, non ha rilevanza sociale, perché non ha come ogni altra prestazione, un prezzo in denaro. Anche quando vive in città, la donna è in condizioni di disuguaglianza, per vari motivi. Uno dei principali è che l'accesso ad un lavoro diverso da quello agricolo privilegia i maschi, per cui essa facilmente rimane disoccupata o sotto-occupata. La donna è sfavorita in partenza, perché donna e perché non ha istruzione. Quando ce l’ha, eccettuata una ristretta minoranza, la possiede ad un livello basso o bassissimo e soprattutto le manca una preparazione professionale. Cosi l'"insignificanza" economica le pesa addosso e si traduce in insignificanza sociale e "politica", tanto che, ad esempio, in molti contesti, non le è concesso di prendere la parola in assemblea.
• La scuola. In Africa ed in America Latina su 5 analfabeti 3 sono donne. E' vero soprattutto per la donna, che l'unica "cultura" alla quale si ha accesso è quella tramandata oralmente nel villaggio. La ragazza, infatti, é trattenuta a casa come aiuto alla madre nei lavori pesanti che essa deve svolgere e per apprendere da lei i "compiti" che deve saper svolgere, in vista del domani. La sua educazione si compie quindi attraverso la trasmissione orale e l'apprendimento diretto degli usi e dei costumi da custodire fedelmente e della cui continuità, all’interno della famiglia, dovrà farsi carico. La questione dell’ alfabetizzazione é perciò una questione che riguarda soprattutto la donna. Qui sta la chiave di volta per l'avvio a soluzione del problema donna nel Terzo mondo. In conclusione si tratta di una donna "dimezzata" perché, in non poche culture, di essa - della sua "dignità", del suo ruolo e delle sue potenzialità - se ne ha un "pensiero" ridotto. Messa a confronto con l'uomo, la donna risulta quasi sempre (ingiustamente) una figura "improduttiva" e del tutto dipendente.
La donna in emigrazione
ll flusso migratorio ha avuto inizio negli anni '7O proveniente dai paesi afro-asiatici ed ha assunto, con il passare del tempo modalità diverse. Molte donne sono venute da sole, altre hanno accompagnato il marito, altre ancora lo hanno raggiunto in un secondo momento con o senza i figli, altre invece hanno preceduto e aperto la strada all’arrivo del coniuge e dei familiari.
L'incremento dell'immigrazione femminile ha due concause di tipo strutturale: da un Iato, la condizione di estrema povertà dei paesi del Terzo mondo, dall’altro il profondo cambiamento di vita della donna europea ed italiana in particolare che, entrando nel mondo del lavoro, ha fatto ampliare la domanda di manodopera da parte della famiglia, alla quale fa riscontro una scarsissima offerta interna, dovuta non solo alla denatalità ma anche alla minore disponibilità delle donne europee a svolgere i lavori domestici, ritenuti meno gratificanti. (Cfr. il sempre valido contributo di studio di G. Arena “Il lavoro femminile come fattore di incidenza geografica, in “Geografia, Roma, pag. 158-171). Va detto inoltre, che ai motivi economici individuali e familiari, vanno aggiunti quelli di carattere più personale; vale a dire le aspirazioni e le mete che ogni donna immigrata si propone, in ordine al miglioramento della propria condizione. Va annotato, infine, che la stragrande maggioranza sono giovani. Questo fatto le ha facilitate e le facilita nell‘ottenere il permesso di soggiorno nel paese prescelto, in quanto rende più credibile - anche quando non corrisponde a verità - la motivazione del turismo o dello studio per i quali, normalmente, viene concesso. Importante è entrare!
I paesi delle colf e delle badanti
• Possiamo affermare che le donne immigrate sono generalmente impiegate nel lavoro domestico o nelle attività considerate tradizionalmente come "femminili", quali la pulizia o il lavoro di cucina, ecc . Già dal 1972, una circolare del Ministero del Lavoro, la n. 37, concedeva I’autorizzazione al lavoro per stranieri addetti ai lavori domestici. Tuttavia la loro condizione, spesso, non è regolarizzata. Sovente il datore di lavoro rifiuta una regolare assunzione ed il versamento dello stipendio e dei contributi previsti dalla legge, sapendo di poter far leva, per proprio tornaconto, sulla situazione precaria delle donne. Esse, infatti, non potendosi mettere in regola, preferiscono accettare un compromesso e nascondere la propria semiclandestinità dietro la facciata di un lavoro comunque retribuito, poco esposto a controlli e che permette, in molti casi, di risolvere anche il problema dell'alloggio. Per quanto riguarda lo stipendio esistono scarti anche del 40% tra la retribuzione ad una colf italiana e quella data ad una immigrata. Inoltre il carico e I'orario di lavoro, sia per le regolari che per le irregolari, sono particolarmente pesanti. Normalmente vengono superate le otto ore giornaliere.
• La condizione delle giovani che vanno a scuola é solo apparentemente più libera. Rientrate in casa, dopo la scuola, sono costrette a rimanervi per accudire ai fratelli più piccoli. Il padre ed i fratelli maggiori non accettano che siano "libere" come le donne e le ragazze italiane che essi conoscono. In questi casi è necessario aiutare il nucleo familiare ad aprirsi ed a permettere alla ragazza maggiori contatti esterni, anche per il motivo che la donna del Terzo mondo dà particolare importanza alle relazioni personali, ai rapporti sociali quotidiani, considerati e vissuti da lei come occasione di apprendimento, di inserimento sociale e di riconoscimento.
Condizionamenti, problemi e risposte
Come si vede, il pericolo - tutt’altro che ipotetico - per la donna immigrata é di continuare a trovarsi anche qui da noi in una situazione di precarietà o addirittura di peggiorare il suo "status". Essa soffre di problemi e di condizionamenti legati alla sua condizione di donna e di immigrata. E' facile provarlo. Basta l'accenno ad alcuni dei suoi problemi.
• II primo è quello creato dallo sradicamento dal paese di origine e dalla sua cultura. Si tratta, effettivamente, di un passaggio brusco: da una società rurale ad una società tecnologicamente avanzata, con ritmi di vita assai diversi; da una concezione patriarcale della famiglia e della società ad una nella quale l'uguaglianza dei sessi e l’emancipazione della donna, di diritto e di fatto, sono considerate conquiste irrinunciabili. Nasce così per la donna immigrata il pericolo di una "scissione culturale" e di uno sdoppiamento di personalità tra opposti sistemi di valori, che la può portare ad uno stato di conflittualità interiore e di alienazione che può sfociare in una vera e propria malattia di carattere psichico. E' la sua identità culturale e personale che è messa in crisi. A questo problema non si può rispondere rimanendo solo sulle difensive o chiudendosi. E' necessario aiutare la donna immigrata a salvaguardare la propria identità culturale, affrontando il problema in modo illuminato, che permetta di entrare gradualmente ma coraggiosamente in contatto ed in dialogo con la cultura del paese ospitante. Ciò potrà avvenire soprattutto nella scuola tra giovani di diversa provenienza. ll sistema scolastico svolge in questo campo una funzione insostituibile, in quanto è una istituzione-ponte tra I‘individuo e la società, capace di favorire l’integrazione. Infatti è nella scuola che può e deve realizzarsi un dialogo ed una educazione inter-culturale, all’insegna della reciprocità. Un immigrato etiope osservava, recentemente, in un incontro: "noi conosciamo bene la storia dell’impero romano, mentre voi non conoscete nulla della nostra storia". In questa logica si pone per noi la necessità e forse il dovere, che qualcuno impari la loro lingua, soprattutto là dove sono presenti consistenti gruppi etnici omogenei. Per questa via è possibile il formarsi anche di gruppi interetnici: quelli naturali (rapporti di lavoro, di vicinato), quelli spontanei che nascono per libera scelta (conoscenza, amicizia, interessi culturali, ecc.) e quelli costituiti appositamente, per iniziativa di singoli, di gruppi, di comunità o di organizzazioni. Soprattutto in questo contesto, viene favorito I’incontro tra donne di nazionalità, cultura e di estrazione sociale diverse. Nell’incontro con le altre donne, anche quella immigrata si rende facilmente conto di avere dei valori e delle "libertà" che la donna occidentale ha perso e che essa può aiutare a farle riscoprire. Tutto ciò potrà avvenire più facilmente se la nostra società dimostrerà nei fatti sincera stima e rispetto della cultura degli immigrati, di qualsiasi provenienza, impegnandosi a conoscerla prima di parlare e offrendone un'immagine corrispondente alla verità, soprattutto attraverso i mass-media, che spesso stanno all’origine degli stereotipi (luoghi comuni, pregiudizi, ecc.), che impediscono lo sviluppo di un rapporto positivo. Qui si inserisce una considerazione di grande importanza riguardante la comunicazione tra donne di nazionalità, di cultura e di religione diversa che trova nella vita quotidiana mille occasioni di incontro e di cortesia che favoriscono, in modo informale, la conoscenza reciproca e la stima che rifluiscono poi in modo benefico nell’ambito familiare. Se le donne non si parleranno la distanza tra le diverse etnie, crescerà e con essa la freddezza dei rapporti, i sospetti ed i pregiudizi che possono favorire, come già avvenuto in molti paesi, gli scontri e le violenze. Se le donne non faranno da “ponte”, più facilmente gli uomini saranno tentati di fare la guerra.
• Vi è poi un problema di isolamento o di solitudine particolarmente sentito dalla donna, sia quando è nubile e sia quando, pur essendo sposata, non le è possibile vivere con la famiglia perché vi sono stati ostacoli per ottenere il "ricongiungimento familiare". Ma anche quando i familiari sono immigrati insieme, spesso le esigenze di lavoro - sovraccarico e orario prolungato - ed il problema dell'alloggio rendono, difficile per molte, un incontro frequente con il marito o con i figli sistemati altrove. Soprattutto quando la solitudine è accompagnata da gravi problemi, quali la disoccupazione, l’indigenza, la mancanza di alloggio, ecc. possono, anche per incapacità personale di gestire una libertà imprevista e improvvisa, diventare facilmente vittime di esperienze negative a livello affettivo o nel rapporto con la società, con conseguenze di ordine morale o penale talora molto gravi. Si pensi all’aborto, all’abbandono dei figli - vissuti con particolare drammaticità dalla donna immigrata, educata alla stima della maternità - o alla reclusione in carcere per reati commessi contro la legge. Una risposta efficace a questo problema può essere data dall’azione preventiva o di sostegno da parte di gruppi di volontariato, di famiglie, o di comunità che mettono in atto dei "servizi" di accoglienza e predispongono luoghi di incontro.
• Un altro problema è quello della non conoscenza della lingua. L'handicap linguistico, impedendo di comunicare con l'ambiente circostante, aumenta il senso di estraneità ed aggrava di conseguenza Io stato di solitudine. Si pone così il problema dell'insegnamento e dell'apprendimento della lingua non solo a livello individuale ma anche familiare. Per le giovani vi è l'opportunità della scuola, anche se l'istituzione scolastica e gli insegnanti spesso non sono preparati a questo nuovo compito. Si tratterà di rendere idonea la scuola a recepire questa esigenza. Ci sono in merito , da tempo, delle precise disposizioni ministeriali che vanno attuate con tempestività e serietà. (Vedi Circ. Min. 301 del 09/09/1979 del Min. della Pubblica Istruzione riguardante appunto: l’inserimento degli stranieri nella scuola d’obbligo: dove si parla di “carenza o, per alcune etnie, di assenza di personale docente in grado di comunicare nella lingua materna degli immigrati e di facilitare loro l’acquisizione della lingua italiana”).Va trovato inoltre il modo di offrire più opportunità di apprendimento della lingua, alle donne adulte o comunque a quelle che vivono fuori dall'ambito scolastico. E’ opportuno dare vita, in orari accessibili, ad iniziative specifiche, come già avviene in molti luoghi, quali ad esempio le scuole di alfabetizzazione o i corsi accelerati di apprendimento della lingua e di introduzione culturale. E' di fondamentale importanza nella prospettiva dell'integrazione sociale degli immigrati, che la donna, soprattutto la madre, conosca la lingua del paese ospitante.
• II problema religioso. La religione - lo si è constatato anche in avvenimenti internazionali - costituisce un forte elemento di coesione all'interno delle culture. Anzi, molte volte, la religione é elemento costitutivo dell'identità culturale di un popolo. E' un terreno - quello religioso - che teoricamente dovrebbe facilitare il dialogo e I'apertura reciproca, viceversa, nel quotidiano, diventa, di frequente, un punto dove le resistenze si fanno più forti ed i conflitti più duri. Per quanto riguarda gli immigrati, va anzitutto sottolineato il fatto che questi popoli hanno un innato e profondo senso religioso che si manifesta sia a livello individuale che familiare o di gruppo. Risulta, inoltre, che l'elemento religioso entra tra i fattori determinanti per la scelta del paese di immigrazione. Così avviene, per esempio per l’Italia (e in particolare per Roma) da parte dei cattolici. Le ideologie occidentali, marxismo in prima linea, hanno conquistato molti dei loro governi, e talvolta la classe intellettuale, ma non hanno avuto un seguito popolare, e questo in contrasto con le condizioni di estrema povertà nelle quali la gente vive. Si pensi all’America Latina e all’Africa. A questo proposito l’emigrato etiope, già citato, che si occupa dei problemi dell'emigrazione, ha raccontato un episodio assai significativo. In Etiopia si è tentato più volte di tradurre in lingua locale i testi di Marx e di Mao per diffonderne le idee nel popolo, senza però riuscirci, a causa della indisponibilità terminologica e culturale della lingua che è di origine semitica.
• In questo campo soprattutto é evidente l'importanza del ruolo della comunità cristiana. Essa è chiamata a precedere con l'esempio, favorendo, per prima, l'inserimento di singoli e di nuclei familiari cattolici, perché possano partecipare alla vita della comunità nei suoi vari aspetti - catechesi, celebrazione di sacramenti, incontri pastorali - non solo come destinatari ma come protagonisti, soprattutto quando sono in grado di parlare la lingua italiana. Molti degli immigrati hanno buona cultura ed hanno svolto nei loro paesi ruoli pastorali importanti (catechisti, animatori di comunità, ecc). Quando un gruppo etnico fosse molto numeroso, potrebbe diventare assai utile il servizio continuato, stabile o periodico, di un loro sacerdote.
• L'immigrazione apre cosi un capitolo assolutamente nuovo di dialogo con le altre religioni. Qui dobbiamo riconoscere che siamo quasi del tutto impreparati. Onde evitare improvvisazioni, confusioni, facile irenismo, relativismo religioso in noi ed in loro, è necessario conoscere, in modo almeno sufficiente, le religioni presenti da noi. In primo luogo quella musulmana. Già Giovanni Paolo II è intervenuto più volte su questo tema. Da non dimenticare in merito e da leggere anche oggi il suo discorso, giustamente famoso, tenuto il 19 agosto 1985 a Casablanca in Marocco ai giovani musulmani, non solo per il contenuto, ma anche per la metodologia usata da considerarsi esemplare. Per quanto riguarda il nostro tema diventerebbe assai interessante conoscere qual è la concezione che si ha della donna e quale ruolo le si riconosce in queste religioni. Così pure quali valori morali o sociali vengono promossi e quale attenzione si ha per i più poveri. Occorre dar vita, guidati da esperti, ad iniziative di informazione e di formazione, di incontro e di dialogo interreligioso e a programmi di comune impegno nell'affrontare i problemi del nostro tempo.
Cosa pensano di noi
Si possono conoscere le impressioni e le reazioni delle donne immigrate da noi. Della nostra società ammirano tante cose, in particolare la libertà, I’efficienza, l'organizzazione, la capacità di lavoro e di produzione dei beni. Da ascoltare sono soprattutto le donne che lavorano come collaboratrici familiari. Esse vivono a contatto continuo con la vita quotidiana - così com’è - della famiglia italiana. In questo senso il loro è un punto di osservazione privilegiato. Ecco alcuni loro rilievi. In breve, esse si meravigliano soprattutto di tre cose:
• del tipo di educazione data ai bambini, perché sono trattati alla pari degli adulti, hanno tutto e subito, senza una gradualità di ingresso nella vita, come succede da loro, e senza sacrificio, con la conseguenza che non apprezzano ciò che hanno. Esse pensano che in questo modo non va bene, perché domani non sapranno affrontare le difficoltà della vita;
• dell'abbandono e della mancanza di affetto che affliggono gli anziani. Da noi l’anzianità è vilipesa e temuta, e ad essa si guarda con angoscia; presso di loro l'anzianità invece è onorata e si guarda ad essa con serenità. L’anziano può parlare ed essere ascoltato: in lui si apprezza l'esperienza e la saggezza. La considerazione che essi hanno dell'anziano é bene espressa da un proverbio africano che dice: "Un anziano che muore é una biblioteca che brucia";
• del grande numero di poveri che ci sono in una società così ricca come la nostra. Ciò che le impressiona é la facilità allo spreco e il divario tra chi sta bene e chi sta male e soprattutto la mancanza di solidarietà, anche a livello popolare. Non é come da loro che la "fame di uno é la fame del villaggio".
La donna protagonista
L’emigrazione non va considerata solo come un problema; essa è un "evento" che apre nuove prospettive di carattere culturale, sociale e politico sia a livello nazionale che internazionale. Perché questo fatto evolva in senso positivo, cioè come occasione di arricchimento reciproco, é necessario coinvolgere gli stessi immigrati, donne comprese, come protagonisti. In particolare si tratta di aiutare le donne immigrate perché crescano nell'autocoscienza, affinché esse, per prime, riscoprano, sia dal punto di vista antropologico che religioso, "la verità sulla donna". (Lettera apostolica “Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II, n. 7). La grande risorsa della donna, Infatti, é la certezza interiore dell’immagine di Dio in lei e della pari dignità con l’uomo. Se la donna sarà messa nella condizione di dare il meglio di sé, la società ne avrà un beneficio incalcolabile, a cominciare dalla famiglia. E' vero, in questo senso soprattutto per la donna del Terzo mondo, che educare una donna vuol dire educare una famiglia. Si pensi anche solo, per esempio, all’educazione alimentare o a quella igienico - sanitaria. Ed educare una famiglia significa educare la società: Importantissimo perciò é il ruolo e l'apporto della donna nel processo di sviluppo. Per questo urge decidere strategie concrete che contestualmente rispondano alle necessità della donna e a quelle dello sviluppo. Solo così, al ritorno nell'ambiente d’origine, esse saranno le migliori alleate del grande sforzo di cooperazione internazionale allo sviluppo dei paesi poveri.
Riflessioni conclusive
• L'analisi fatta, che può essere ulteriormente sviluppata, chiede una risposta da parte della società civile ed in particolare dalla comunità cristiana. Fortunatamente non si parte da zero, risposte positive sono, da tempo, già in atto un po' ovunque. "Il principio fondamentale – come è stato affermato - deve essere una disposizione interiore ad affrontare la situazione con spirito profetico".
• Secondo una "lettura teologica dei problemi umani", (Cfr. “Sollicitudo rei socialis” di Giovanni Paolo II – cap V) la comunità cristiana é chiamata a vedere nel fatto migratorio un disegno di Dio che chiama l’umanità a ripensare se stessa in termini di unità, di solidarietà e di interdipendenza. E' necessario rendersi conto che non é un'emergenza che passa, è una novità, una svolta destinata a cambiare la vita di tutti. Si sta andando, sempre più rapidamente, verso un nuovo modello di convivenza umana. A questa nuova nascita non è, e non può essere, estranea la donna, il cui "genio femminile" e la cui "caratteristica profetica" sono chiamati a mettersi al servizio di una umanità nuova. ( cfr. Lettera apostolica “Mulieris dignitatem” op. citata n. 31-39)
Il tema della donna, come si vede, è ineludibile. Ritorna periodicamente e si affaccia all’orizzonte dell’opinione pubblica internazionale. Nessuno, a parole, si sente di negarne l’importanza. Basta un libro, una denuncia a proposito, per esempio, della scarsa presenza e della mancata considerazione della donna nella politica, nel mondo del lavoro o nella chiesa, o della reazione indignata di fronte alle violenze continue di cui sono vittime, dentro e fuori la famiglia fino al femminicidio, per doversi svegliare bruscamente dal sonno come di fronte ad una sorpresa; salvo poi riaddormentarsi tranquilli, come può fare chi pensa di aver compiuto il suo dovere, parlandone. Ciò che può aiutare a voltare pagina non è l’esecrazione o la protesta fine a se stessa, ma aprire gli occhi, riconoscendo dignità e valore a ciascuna delle presenze di cui è composto il variopinto universo femminile, diventato, nel contesto della società globale, sconfinato. Una delle presenze dimenticate appunto, è quella delle donne immigrate sulle quali abbiamo voluto richiamare l’attenzione.
Di conseguenza, la presenza della donna nella società non può più essere considerata come qualcosa di marginale. Essa è uno dei punti nodali nel quadro complessivo delle profonde trasformazioni in atto. In essa sta una chiave di lettura per la comprensione della realtà socio-culturale del nostro tempo. Essa infatti è alla confluenza di tanti altri problemi che toccano la vita umana, la famiglia, la società, i diritti, la pace dei singoli e dei popoli. Per cui possiamo tranquillamente affermare che il riconoscimento dei diritti dei popoli è imprescindibilmente legato anche al riconoscimento dei diritti della donna che ne diventa così un’anticipazione ed un simbolo. Anche dal punto di vista pastorale "le nuove frontiere della missionarietà in Italia e nel mondo trovano rinnovate possibilità di presenza e di incidenza nell’apporto specifico e costruttivo delle donne" ( CEI,“Comunione e comunità missionaria” n. 22).
La "donna curva, che non poteva in nessun modo stare dritta" (Luca, 13, 10-13) può ben rappresentare, in sintesi, la storia della donna e di tante donne di ieri e di oggi, particolarmente quando sono gravate dal peso di antiche discriminazioni ed emarginazioni. Come Cristo che, incontrando sulla stessa strada la donna curva, "si accorse di lei, la chiamò a sé e le disse: sei guarita”! così la comunità cristiana, oggi, deve invitare, la donna ad alzare la fronte e lo sguardo, nella consapevolezza della sua "dignità" che solo nel dono di sé agli altri può esprimere pienamente se stessa.
Responsabile del Coordinamento Regionale dei Centri Culturali Cattolici delle Diocesi della Lombardia – Referente per il Progetto Culturale della CEI
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