NEL 40° ANNIVERSARIO DELLA STRAGE DI PIAZZA LOGGIA
Testimonianza di Mons. Luciano Baronio, già segretario del Vescovo Morstabilini
Molte volte mi è stata rivolta la domanda: " Ricorda come visse il vescovo la vicenda di piazza Loggia?" Devo rispondere che lo ricordo molto bene, trattandosi di una tragedia che ha segnato la vita e la storia della nostra Brescia, e non solo di essa, da essere indimenticabile. Ero troppo vicino e troppo partecipe così che anche oggi, ripensandoci a quarant’anni di distanza, rivivo quelle giornate e quel clima, intensamente, come allora. Anche se lo stesso ricordare é doloroso. E’ vero, non solo per me, come dice il poeta, “Infandum,… iubes, renovare dolorem!” . Rivivo sentimenti mai spenti, che affollano e si accavallano ancora oggi dentro di me. Come metterli in ordine? Ci proverò, seguendo lo svolgimento dei fatti in tre momenti.
- La Notizia della Strage
Tra i dolori di un Vescovo questo della strage, che colpisce al cuore la propria città e la propria gente, facendo vittime innocenti, sta al sommo dei dolori. perché non ha eguali. E tale è stato per l’animo sensibilissimo del vescovo Morstabilini, che ne soffrì enormemente fino alle lacrime. Quel tragico mattino del 28 maggio il vescovo stava dando udienza, come di consueto. Avvertito dell’attentato interruppe il colloquio in corso. Le notizie frammentarie che giungevano in modo sempre più concitato e confuso, diedero immediatamente la percezione della gravità di quanto era accaduto. Era talmente enorme la notizia da suscitare in un primo momento incredulità: non poteva essere vera. L’incredulità dovette lasciare il posto allo sgomento. I suoi occhi azzurri, limpidi come il mare, riflettevano la profonda commozione che gli impediva di parlare.
Corse, immediatamente, là dove sapeva di essere atteso, per partecipare e condividere l’immenso dolore per le vittime, l’orrore per il sangue sull’asfalto, il pianto dei feriti, le grida disperate di coloro che stavano lì accanto, in piazza,scampati per miracolo e lo strazio dei familiari. Andò agli Spedali civili, dove giunse per primo, per confortare i feriti e i familiari. Seguì poi l’omaggio e la preghiera davanti alle bare dei caduti allineate nel salone Vanvitelliano della Loggia..
Con il passare delle ore, e i primi commenti della stampa e della televisione, crebbe a dismisura la consapevolezza della gravità della tragedia che si era consumata e delle conseguenze che ne sarebbero venute per la vita della città e della Nazione. Rientrato in vescovado, per prima cosa, informa il Santo Padre Paolo VI° di ciò che è accaduto, implorando conforto per sé e per la città.
Rilascia una dichiarazione alla stampa per dar voce ai sentimenti di tutta la chiesa bresciana. Si prepara il manifesto , pensato di corsa e stampato in fretta, da affiggere per le vie della città, soprattutto nel centro storico ed i volantini, che furono distribuiti tra la folla, da un gruppo di giovani coraggiosi, alcuni dei quali subirono insulti. Fu difficile ottenere dalla televisione che si desse notizia del lutto e della partecipazione della diocesi. Il testo del manifesto , che voleva parlare a tutti, metteva in risalto il contrasto tra lo “spirito di Caino” artefice di morte e lo “Spirito di Cristo”che dona la pace.
I funerali
I funerali aumentarono la sofferenza e lo sgomento. Per poter capire qualcosa di ciò che è avvenuto, occorre mettere in fila alcuni elementi che influirono sulla tensione che si scatenò: il marcatissimo sentire anti- istituzionale e il clima sociale incandescente - non si può dimenticare che il 12 maggio 1974 ci fu il referendum abrogativo della legge sul divorzio, con lo strascico di accuse e di polemiche che coinvolsero la chiesa e il partito della DC, accusati di aver voluto il referendum – pensato come vincente – per imporre una egemonia politica e una svolta conservatrice nemica della libertà; la espansione e l’ ascesa che pareva inarrestabile dell’ideologia marxista e del maggior partito di riferimento che puntava al “sorpasso” – ne è prova l’esito delle elezioni politiche del 1976. La partecipazione di una folla senza numero, impressionante, della più diversa provenienza, certificata visibilmente dai cartelli di riferimento, preannunciavano un funerale di dimensioni mai viste e certo non tranquillo.
Fu il “ Comitato antifascista”, costituito di fretta, dopo la strage, che stabilì che i funerali si tenessero in Piazza Loggia, là dove avvenne la strage. La cattedrale era chiusa per i restauri in corso. Il Vescovo non avanzò richieste, ma stette in attesa delle decisioni del Comitato sulle modalità dei funerali che avevano previsto, la celebrazione della messa che volevano presieduta dal vescovo Morstabilini.
Crebbe la sofferenza e il disagio davanti allo spettacolo di una un folla sterminata che gremiva all’inverosimile le piazze e le strade adiacenti, le cui grida giungevano fino a piazza Loggia e all’altare. Quando fecero ingresso i rappresentanti delle massime istituzioni dello Stato, in particolare del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, fu tale la reazione e il boato della folla da far temere che venissero rotte le difese e gli argini messi a protezione. Apprezzato e provvidenziale fu l’intervento di Luciano Lama, segretario generale della CGIL, ascoltato in silenzio.
I funerali avevano cambiato natura: si trasformarono in una manifestazione al cui centro non stavano le vittime e i loro familiari, ma la contrapposizione politica Fu una cosa enorme. La preghiera ed il silenzio furono sostituiti da molti, forse i più, nelle piazze adiacenti, dalla rabbia e dalle urla. Certamente non mancavano quelli che pregavano, in silenzio, spiritualmente uniti al Vescovo che celebrava a nome di tutta la chiesa bresciana.
Il Vescovo riuscì, nella piazza presidiata dai sindacati, a portare a termine, con trepidazione crescente, la celebrazione, e riuscì a rivolgere, in una situazione difficilissima, la sua parola di ferma condanna dell’attentato, di invocazione della giustizia, chiamando gli autori della strage al pentimento e dicendo a tutti che è dal cuore dell’uomo che nascono l’odio, le ingiustizie, le sopraffazioni,le violenze e affermando la necessità della conversione interiore di ciascuno per una rinnovata convivenza.
La contestazione al vescovo, che celebrava, della quale si è parlato più volte, non va isolata dal contesto e tanto meno personalizzata. Infatti quella folla sterminata che proveniva da ogni parte d’Italia non poteva protestare contro un vescovo che non conosceva, se mai protestava, a prescindere, contro la chiesa – istituzione, oggetto, in quegli anni, di frequenti attacchi. La contestazione sarebbe avvenuta all’indirizzo di qualsiasi altro vescovo, non importa con quale nome. Fu detto che molti, purtroppo, protestavano contro la messa, sentita da loro come “ estranea”, in quanto non avvertita nella sua realtà di sacrificio di Cristo e neanche nel suo significato simbolico che, in quel momento, riuniva in sé ogni dolore.
Le ripercussioni
Le ripercussioni furono enormi, dapprima sull’onda della emotività e poi nel bisogno sempre più “urgente” della città e di ogni suo abitante, di trovare risposte ai troppi interrogativi – perché proprio Brescia? - che, purtroppo, non hanno ancora una risposta. Così é avvenuto, come sappiamo, per la strage di Piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969) e come sarebbe avvenuto ( il 2 agosto 1980) per la strage alla stazione di Bologna. Il Vescovo avvertiva la sofferenza e l’inquietudine di tanti sacerdoti, per questo volle che nel convegno annuale del clero, nel successivo mese di settembre, si tenesse una riflessione a più voci sulla strage: “ La chiesa nella realtà bresciana, dopo la strage di Piazza Loggia “.Si aprì il dibattito durante il quale ci fu” chi accusò il vescovo di una partecipazione “ formale” alla tragedia, addirittura di essere stato assente. Ciò era manifestamente falso. Il vescovo seduto in prima fila con il vescovo ausiliare Gazzoli e il provicario Capra, subì in silenzio l’offesa e non permise a chi poteva smentire l’accusatore, di intervenire. Occorrerebbe riascoltare oggi la registrazione degli interventi della tavola rotonda e del dibattito.
Le parole in libertà che si sono lette anche in questi giorni – che hanno l’unica legittimazione nei propri sentimenti ma non nei fatti - sono sconsigliabili quando si deve dire di un avvenimento così tragico, del quale ancora oggi non si sa a chi apparteneva quella mano omicida che depose la bomba nel cestino di piazza Loggia.
La memoria fu tenuta viva. Nel programma della visita (1982) di Giovanni Paolo II a Brescia il Vescovo Morstabilini volle che fosse inserita la sosta a Piazza della Loggia, sconsigliata da alcuni che temevano contestazioni, dove il Papa si inginocchiò a pregare, ai piedi della stele che porta incisi i nomi dei caduti e vi depose un cuscino di fiori, davanti ad una folla silenziosa (e orante)che gremiva la piazza.
A tanta distanza di tempo, per noi cristiani, è possibile, anzi doverosa, una lettura spirituale (e teologica) di quel giorno memorabile: Cristo era veramente presente in quella piazza mediante la rinnovazione del suo sacrificio, compiuto sul calvario in mezzo agli improperi dei più e accompagnato dalla pietà e dal pianto di pochi, uniti a sua Madre.
Il valore salvifico dell’”azione liturgica”, non solo non venne meno, ma si è realizzò pienamente in forza della grazia sacramentale che dona, ogni volta.
Quel che conta, anche per la storia, è che quella messa smentisce ogni supposta “estraneità” della chiesa bresciana che, in un momento così tragico, non ha lasciato mancare il suo dono più grande: una celebrazione per i vivi e per i defunti, per le vittime e i loro familiari, per la città e la sua pace.