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MISSIONE UNIVERSALE E POVERI




I - LA MISSIONE UNIVERSALE DELLA CHIESA



 

La missione universale della chiesa ha la sua origine nel comando del Signore: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura ... Ecco io sono con voi fino alla fine mondo" (Mc . 16,15 del Mt. 18,20 ). Alla missione della chiesa dunque è assegnata tutta l'estensione possibile geografica,antropologica, e temporale.

 

Quella che maggiormente ci interessa qui è quella antropologica: predicate il vangelo ad ogni creatura”. Tutti gli uomini infatti sono chiamati alla salvezza ed a formare il popolo santo di Dio(cfr. Ad gentes, 35), perché "Dio ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia” (Gaudium et spes, 24). Dunque la missione della chiesa si rivolge a ciascun uomo considerato “nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale [...].Quest'uomo è la prima strada che la chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della chiesa” (Redemptor Hominis, 14).L'apostolo Paolo grande missionario che ha pensato in tutta la sua globalità ed estensione la missione affidata da Cristo agli Apostoli – coafferma nella Lettera ai Colossesi: “Di essa [chiesa] sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua parola, [...] cioè Cristo in voi, speranza della gloria. E' Lui infatti che noi annunziamo, ammonendo ed istruendo ogni uomo..." (Colossesi, 1,24 e ss.)

 



II - ... E I POVERI


Dunque, per essere davvero universale la missione deve rivolgersi a tutti e perciò deve avere come destinatari anche i poveri: singoli, categorie, popoli, presenti su tutta la faccia della terra. Chi pensasse di escluderli, o di fatto li escludesse, ridurrebbe la missione nella sua universalità. Ma non si tratta solo di non escluderli: c'è di più. Infatti Cristo ha fatto di essi i destinatari privilegiati della missione e dell'annuncio del angelo ai poveri il segno messianico della presenza in mezzo a noi del regno  Dio. Come ben sappiamo Cristo lo ha proclamato solennemente, all'inizio della sua predicazione, nella sinagoga di Nazareth: “Il Signore mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere i libertà gli oppressi e a predicare un anno di grazia del Signore”. Applicando a se la profezia di Isaia (61,1-2) con le parole: "Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi" (Luca 4,18-19.21).

 



L’annuncio ai poveri segno visibile della presenza del regno di Dio nel mondo

 


L'annuncio del vangelo ai poveri è il segno visibile che il regno di Dio è in mezzo a noi. Infatti leggiamo: ”Sei tu colui che deve venire o ne dobbiamo aspettare un altro? domandarono a Cristo i due discepoli inviati da Giovanni. E prosegue il testo: "In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: "Andate a riferire a Giovanni ciò che avete visto e udito: “I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella" (Luca 7,19-20b.21-22”).

 

La “missione” non può dimenticare questo dato biblico fondamentale che segna di sé anche le altre modalità con le quali la comunità cristiana è chiamata a vivere la sua costitutiva dimensione missionaria: i poveri, nella accezione più ampia del termine - attenti però al pericolo di una lettura spiritualistica della Scrittura che la depriva della sua densità storica e della sua carica innovatrice! – sono i destinatari privilegiati della missione della Chiesa. L’amore verso di essi non è esclusivo (sarebbe una “scelta di classe”, ma segno appunto dell'universalità dell' amore di Dio per ogni uomo e per l'uomo in quanto tale - creato ad immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1,26) - e non per quello che distingue e spesso divide un uomo dall'altro ecc.(ricchezza, cultura, potere).

 


Come Cristo
 

La missione verso i poveri Cristo l’ha vissuta con una modalità che teneva conto dei destinatari e della loro situazione: l’annuncio era accompagnato,spesso addirittura preceduto, da una opera di liberazione dai mali che affliggono la vita dei poveri. Questa liberazione nel suo attuarsi verificabile era essa stessa annuncio dell’amore gratuito di Dio che salva l’uomo tutto l’uomo, anima e corpo. Se i due aspetti – dell’annuncio e della diaconia – vengono separati o addirittura contrapposti – come spesso è avvenuto ed ancora avviene – nascono per la missione problemi e contraddizioni a non finire e tensioni tra realtà diverse nell’ambito ecclesiale a motivo
della unilateralità delle scelte. A questo proposito già il Sinodo Straordinario, a vent’anni dal Concilio Vaticano II (1985) Così si esprime: ”Dopo il Concilio Vaticano II la chiesa è divenuta più consapevole della sua missione al servizio dei poveri. […] La missione salvifica della chiesa in rapporto al mondo dobbiamo intenderla come integrale. La missione della chiesa, sebbene sia spirituale, implica la promozione anche sotto l’aspetto temporale. […] Certamente in questa  missione c’è una chiara distinzione, ma non una separazione tra gli aspetti naturali e soprannaturali. […] Bisogna quindi mettere da parte e superare le false ed inutili opposizioni tra la missione spirituale e la diaconia al mondo”. (Relazione finale del Sinodo 6).

Così concepita la missione ingloba e valorizza teologicamente, e pastoralmente quanto i missionari fanno da sempre “nelle terre di missioni” e quanto si è fatto particolarmente negli ultimi decenni nell’ambito della cooperazione allo sviluppo a favore dei popoli del sud del mondo, nelle sue diverse espressioni – gemellaggi tra chiese,volontariato internazionale, aiuti di diversa natura, ecc. – che ha visto il “mondo cattolico” impegnato in pria fila, pur con tutti i problemi annessi e connessi a queste esperienze.

 


Una nuova comprensione, seguendo l’insegnamento della chiesa

 



L’attenzione ai poveri, alla luce di una ricomprensione ecclesiale del dato biblico che sta all’origine della tematica conciliare e post-conciliare della chiesa dei poveri e della scelta preferenziale che è chiamata a compiere. Come risulta chiaramente dai due testi che riportiamo, dal libro di Giobbe e dalla lettera di S. Paolo ai Corinti:
 

Giobbe continuò a pronunziare le sue sentenze e disse: Oh, potessi tornare com'ero ai mesi di un tempo, ai giorni in cui Dio mi proteggeva, quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre; perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto, l'orfano che ne era privo. La benedizione del morente scendeva su di me e al cuore della vedova infondevo la gioia. Mi ero rivestito di giustizia come di un  vestimento; come mantello e turbante era la mia equità. Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto” (Giobbe 29,1-3 12-16).

 

“Fratelli, chi semina scarsamente, scarsamente accoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà. Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene, come sta scritto: «Ha largheggiato, ha dato ai poveri; la sua giustizia dura in eterno». Colui
che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia”

(2 Cor.9,6-10).

Si noti che il tema attraversa tutta la dottrina sociale della chiesa, sia pure con forza e modalità diverse, ed è particolarmente presente nelle ultime encicliche sociali quali la “Popolorum Progressio” di Paolo VI e le encicliche di Giovanni Paolo II la “Sollicitudo Rei Socialis”, la “Centesimus Annus”, anche la “Redemptoris Missioe recentemente la “Veritas in Caritate” di Benedetto XVI, riguarda “una chiesa che deve sentirsi missionaria in ogni tempo e in ogni luogo” (Ad Gentes 2) per cui “l’apostolato, tutta l’attività pastorale, la stessa teologia sono provocate ad essere missionarie, aperte cioè alle strade del mondo” (“La chiesa in Italia dopo Loreto”, 52).

 

Si legittima così come missionario anche il rapporto tra la comunità cristiana ed il territorio di appartenenza. La chiesa o è missionaria o non lo è! E se lo è deve esserlo dovunque. C’è una continuità intrinseca e necessaria tra la “missio ad gentes” e la missionarietà “in patria”, tanto più che i “gentili” vivono tra noi in modo crescente. La situazione dei nuovi poveri accentua la necessità e l’urgenza dell’evangelizzazione (nuova evangelizzazione) che comprende sia l’annuncio che la testimonianza della carità, perché “missione è anche avere il coraggio di amare senza riserve” (“la chiesa Italiana dopo Loreto, 51”) per cui quando si servono i poveri si annuncia l’amore di Dio verso gli uomini reso visibile anche dal mio gesto il quale deve avere le caratteristiche della carità di Dio, così come  si è manifestata in Cristo: prende l’iniziativa, promuove il rapporto interpersonale, e gratuita, si fa servizio, diventa condivisione, difende i diritti, togliendoli dall’emarginazione, richiama l’attenzione sui poveri nel quale egli è presente, tanto da considerare fatto a se ciò che si compie per essi.(Cfr. Mt, 25).

 



 La necessità della conoscenza
 


 

Per evangelizzare i poveri occorre conoscerli, andando in cerca di essi la dove si trovano ed è necessario conoscere le povertà di cui sono afflitti. I rapporti sulle povertà in Italia e nel mondo e gli “osservatori delle povertà” sono strumenti che possono giovare molto alla missione aiutandola a situarsi e ad incarnarsi nei diversi contesti. Tenendo presente che la mappa geografica planetaria dei poveri si sta modificando sensibilmente e spostando, per cui ci sono poveri nei paesi che non sono più poveri, che non si possono più definire come “terzo mondo” - come ad esempio in Brasile, in Thailandia, in India, in Senegal ecc. che non soffrono della crisi dei paesi occidentali – e ci sono poi i poveri nei paesi che non sono più ricchi come avviene in Europa.
E’ necessario mettersi in ascolto dei poveri, abituarsi al loro linguaggio per assumerlo quando si parla con essi e quando si compie opere di evangelizzazione nei loro riguardi. Ma soprattutto è indispensabile farsi poveri. Questo vale per il singolo “missionario” e per la comunità cristiana come tale, come ci ha ricordato Papa Francesco quando ha affermato:“Come desidero una chiesa povera che ama i poveri”. La beatitudine della povertà infatti non può solamente essere annunciata, deve essere vissuta da chi la proclama (cfr. Lc,3-9). Come Cristo. Come i grandi missionari.

 



 
I poveri come protagonisti


 

I poveri non possono essere considerati solamente come destinatari della missione, ma come protagonisti. I poveri vanno coinvolti: da evangelizzati ad evangelizzatori. I poveri hanno dei valori da offrire agli altri: se ascoltati parlano, se mandati camminano, se amati amano, se stimolati e valorizzati servono i fratelli. E’ la nostra considerazione dei poveri e delle povertà che è inadeguata. Il problema siamo noi! L’esempio e la parola di Cristo ci debbono spingere a questo passo decisivo. Gli apostoli egli li ha scelti tra i poveri, come pure sua Madre. L’apostolo Paolo ce lo ricorda:”Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1Cor.1,27).

 



 
Dai poveri si impara
 


I poveri diventano così uno stimolo al cambiamento soprattutto nella chiesa. Essi infatti, se accolti dalla comunità, se amati come presenza di Cristo, cambiano la logica e lo stile di vita di chi li accoglie e di chi li ama perché sono tolti dall’emarginazione e messi al centro, per cui si pensi della vita della comunità non a partire dai primi ma dagli ultimi. La comunità è così provocata a ripensare se stessa, la sua azione pastorale, il significato della sua presenza nel mondo.

Tutto ciò esige un’autentica conversione di vita, di mentalità e di metodi pastorali. Infatti “l’amore preferenziale per i poveri costituisce un’esigenza intrinseca del vangelo della carità e un criterio di discernimento pastorale della chiesa ed una verifica della sua fedeltà a Cristo” (ETC. 48; cfr. anche nn. 39.28).

In questo senso il rapporto tra missione universale e i poveri che ci ha trattenuto in questa riflessione, porta al rinnovamento della missione e questa della chiesa, che tutti auspichiamo invocandola dal Signore.
 

Mons. Luciano Baronio
 


 

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