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Forum  >  LA CULTURA DELLA SOLIDARIETA' E DELLA ACCOGLIENZA

La cultura della solidarietà e della accoglienza
di Mons. Luciano Baronio
 
 
Non basta la solidarietà, non é sufficiente l’accoglienza. E’ necessaria una cultura della solidarietà che superi il momento dell’accoglienza e diventi l’elemento trainante della società. Solidarietà e accoglienza sono realtà necessarie l’una all’altra, ma devono essere considerate come fattori generanti un modello di cultura ad essi ispirata. Il testo segnala anche “indicazioni utili” per un intervento incisivo nelle realtà di emergenza e di bisogno; concentrare le risorse disponibili, educare ad un nuovo modo di pensare la convivenza e il rapporto con gli altri, soprattutto con i poveri.
 
 
 
 Sommario
 
1. Perché diciamo “cultura” della solidarietà?
1.1. il concetto di cultura
1.2. a servizio della persona e della società.
2. Solidarietà e accoglienza
2.1. la solidarietà
2.1.1. gli elementi qualificanti
2.1.2. l’ispirazione cristiana
2.2. l’accoglienza:
2.2.1. l’importanza della conoscenza diretta e dell’ospitalità
2.2.2. anima di tutto é la carità.
3. Solidarietà e accoglienza ai poveri.
4. Alcune indicazioni utili.
 
 
1. Perché diciamo  “cultura” della solidarietà?
 
 
Dire cultura della solidarietà o dell’accoglienza é qualcosa di più e anche  di diverso che dire semplicemente solidarietà o accoglienza. Cultura é qualcosa di organico che supera il singolo elemento che entra a farne parte e che si specifica, come nel nostro caso, per le caratteristiche che vi imprime il “valore generante” della solidarietà e dell’accoglienza. Cultura infatti é un “insieme”, è visione complessiva, è globalità che armonizza, unisce e fa sintesi. Essa guarda alle idee in senso dinamico, cioè alla loro forza e capacità di “trasformarsi”, se sviluppate, in progetti ed in azioni coerenti.
 
Cultura perciò é pensiero e prassi nello stesso tempo. Di conseguenza non é qualcosa di astratto o di accademico, distaccato dalla realtà, ma qualcosa che vi inerisce. Anzi che la interpreta e nello stesso tempo la promuove. Non é solo un “modo di capire ma di sentire e di vivere, fino a farsi costume. In questo senso essa è l’elemento trainante della società, in quanto ne “indica le strade”(Carlo Bo) e la conduce. Da qui la sua importanza fondamentale e da qui anche il nostro primo compito che è quello di raccogliere, per così dire, tutti i “frammenti”, cioè, le riflessioni sparse e sistemarle, costruendo con esse un “progetto culturale”, ispirato alla solidarietà e all'accoglienza perché ne appaia con chiarezza e con forza tutta la plausibilità e la fondatezza e, attorno ad esso, sia lecito, anzi doveroso, chiamare a raccolta. E’ di questo che qui vogliamo parlare perché di questo soprattutto c’è bisogno oggi, proprio in ordine alla solidarietà e all’accoglienza che non mancano come gesti, ma che spesso non sono l’espressione di una cultura soggiacente e perciò non riescono ad incidere come potrebbero sulla mentalità e sul comportamento sociale.
 
 
 1.1. Il concetto di cultura
 
 
E’ necessario anzitutto riprendere e precisare, almeno attraverso un accenno sugli elementi che la compongono, il significato di cultura, termine oggi usato ed abusato, ma imprescindibile punto di partenza. Va detto subito che cultura é un termine suscettibile di accezioni diverse che, per il passato, é stato usato per lo più in senso personale e soggettivo, mentre soprattutto in tempi recenti, ha subito un’estensione in senso storico e sociale. Secondo questa accezione la cultura non nasce solo dalla riflessione, dal lavoro intellettuale, ma anche dalla vita, dall'esperienza e da ciò che “produce” il bisogno profondo dell’uomo di relazionarsi, di comunicare e di condividere significati e valori, non solo per un bene proprio ma anche altrui. E l'apertura all'altro che fa uscire il soggetto dalla propria individualità e lo rende attento a “qualcosa” di esterno, di diverso da sé cui riconosce una dignità ed un valore che lo trascendono. Tale atteggiamento decentrato ed estroverso, diventa stabile e fecondo solo attraverso un rapporto ispirato all'amore. Questo tipo di rapporto, lo possiamo definire giustamente, per 1'aspetto che qui ci riguarda, come rapporto culturale, nel senso più pregnante della parola. Una cultura così intesa sacrifica l’egocentrismo ma non la propria individualità, mentre riconosce l'altro fino a sentirlo come necessario, perché “senza l’altro nessuno é se stesso” (G. Dacquino). La cultura allora è frutto di questo rapporto fecondo che coinvolge le persone nella totalità del loro essere e della loro esperienza: si fa comunicazione! In quest’ottica acquista dignità e ruolo anche la prassi come “luogo” di incontro e di sperimentazione e come luogo d’incarnazione del “pensiero”, orientata a costruire comuni modelli di comportamento.
 
 
1.2. A servizio della persona e della società
 
 
Una tale visione, se condivisa, può trasformare la convivenza sociale in un autentico “laboratorio culturale” capace di discernere e di stabilizzare le acquisizioni del passato e di pensare al futuro con libertà e creatività. Infatti la cultura, nell'accezione sopra ricordata, si nutre di storia (il dato, ma anche l’humus e l'ambiente) e di riflessione antropologica, di complementarità - nessuna conoscenza del “presente” è possibile senza il passato - e di interdipendenza nel senso che la cultura ne è costituita e nello stesso tempo si pone come l’elemento orientativo della ricerca, per la quale è determinante il modello culturale cui ci si ispira, con i valori, i criteri di valutazione ed il metodo di indagine che gli sono propri.
 
Si tratta, come si vede, di una questione complessa, ma soprattutto *** tanto che Giovanni Paolo II afferma che “il servizio alla persona e alla società umana si attua attraverso la creazione e la trasmissione della cultura che specialmente ai nostri giorni, costituisce uno dei più gravi compiti della convivenza umana e dell'evoluzione sociale” (Christideles laici, n. 44). Si comprende allora come in un momento di sradicamento e di spaesamento come l’attuale - dove “Il trionfo della moltitudine”, che non é folla e non é popolo - sta vanificando identità e valori, sia fondamentale ed urgente offrire un quadro unitario di riferimento, cioè un “progetto culturale” che non prescinda o addirittura tagli le radici della civiltà cui apparteniamo, la cui identità nativa sta proprio nel “rapporto con l’altro” e nella solidarietà (carità) che il Vangelo vi ha immesso (cfr..E. Levinas, L’identità dell’Occidente in AA.VV. Religiosità ed Occidente, Editrice Marietti, Roma 1992). Qui si tocca anche il tema suggestivo del rapporto tra cultura e civiltà, al quale ci basta aver accennato, ma sul quale sarebbe assai interessante ed utile soffermarsi.
 
 
2. Solidarietà e accoglienza
 
 
Nel quadro di quanto detto finora vogliamo ora soffermarci a considerare la solidarietà e l’accoglienza non tanto come valori a se stanti, ma come fattori generanti un modello di civiltà ad essi ispirata. Cominciamo però col dire che solidarietà e accoglienza sono due “realtà” strettamente legate tra loro così da essere necessarie l'una all’altra. Si cercano e si sviluppano insieme. L'una e la conseguenza dell’altra. Ma qual è la loro identità?
 
 
2.1. La solidarietà
 
 
Solidarietà è “un rapporto di fratellanza e di reciproco sostegno che collega i componenti di una collettività nel sentimento di appartenenza ad una medesima società, nella consapevolezza di comuni interessi e di comuni finalità” (dal Lessico Universale Italiano, voce corrispondente). Essa è un valore capace di far sintesi tra il bisogno di soggettività e la domanda di socialità. Perciò è un bene per i singoli e per la comunità. Che sia recepita come un bene lo dimostra  il fatto che tutti la reclamano per se stessi, anche se non sempre si é disposti a concederla agli altri e che,  quando non c’è,  se ne lamenta la mancanza. Più manca e più se ne parla. E’ naturale che sia così anche se evidentemente ciò non basta a farla nascere e crescere. Tuttavia va registrato come un fatto positivo il dibattito, talora acceso, che soprattutto in questi ultimi anni si è sviluppato e che tuttora tiene campo nei diversi ambiti della vita pubblica e privata. Anche là dove, per il passato, si rivendicava un’autonomia pressoché assoluta dalle norme di carattere etico, quasi zone franche affidate solo al gioco delle regole “tecniche”, della concorrenza, del profitto e della logica del più forte. Si pensi, ad esempio, al mercato, alla politica e alla lotta che essa “legittima”, al campo della ricerca scientifica, soprattutto riguardante la bioetica e, oggi, con maggior insistenza, anche alla comunicazione sociale e alla pubblicità che si avvalgono di tecniche sempre più avanzate, invadenti ormai la vita individuale, familiare e sociale con gli indubbi vantaggi di una comunicazione più ricca e più estesa, ma anche con gravi problemi di carattere etico, sociale, politico ed educativo.
 
Il dibattito sulla solidarietà ha indubbiamente giovato a focalizzare il “problema” e a riconoscergli l’importanza che gli spetta in quanto é soprattutto la solidarietà che fa la differenza tra progetti sociali diversi. Perciò la solidarietà, ancorché usata ed abusata, come parola, rappresenta comunque per tutti un valore forte sul quale misurarsi per dire quale società si vuole. L’approfondimento generato dal dibattito è stato certamente utile sia a chi la sostiene come principio ispiratore e pilastro della convivenza sia a chi la combatte perché considerata troppo esigente in sé e troppo gravosa per la società.
 
 
2.1.1. Gli elementi qualificanti
 
 
Gli elementi qualificanti la cultura “scaturiscono direttamente dalla natura ragionevole e sociale dell’uomo” (Guudium et spes, n. 59) così da poter essere condivisi da tutti. E’ utile richiamare brevemente l’attenzione su alcuni contenuti basilari, che hanno un particolare riferimento alla solidarietà, quali:
 
- l’appartenenza di ogni donna e di ogni uomo alla grande famiglia umana;
 
- l’uguale dignità di ogni persona, soggetto di diritti, detti appunto umani, perché appartengono all’uomo come tale e perciò da considerarsi, a tutti gli effetti, inalienabili;
 
- la titolarità per ogni uomo anche degli altri diritti (civili, sociali, politici, di cittadinanza, ecc.) che man mano sono andati maturando nella “coscienza collettiva” del nostro tempo. In questo senso si parla giustamente di diverse generazioni di diritti sia di carattere generale che particolare, detti cosi questi ultimi, perché specifici, cioè riguardanti categorie particolari di persone considerate “deboli” in quanto più delle altre esposte al rischio. Come lo sono i bambini, gli handicappati, i rifugiati, ecc., categorie che sono state oggetto di dichiarazioni da parte di Organismi internazionali, come l’ONU, e che fanno parte ormai del patrimonio culturale universale;
 
- l’appartenenza di ogni essere umano ad una comunità, della quale tutti siamo membri con pari diritti e doveri, il cui bene comune, deve essere costruito con la partecipazione di ciascuno. Infatti il principio di solidarietà – “come determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune” (Sollicitudo rei socialis, n. 40) richiama quello di responsabilità, in quanto “tutti siamo responsabili di tutti” (ibid.);
 
- l'idea di democrazia che si realizza pienamente se tutto il corpo sociale è attraversato in profondità dal senso di giustizia e di solidarietà che portano a compimento il principio dell’uguaglianza. Diversamente la democrazia perde di qualità e di vigore e scade davanti agli occhi della gente con il rischio di un rigetto a vantaggio di forme autoritarie.
 
Una solidarietà così concepita non può essere né marginale né occasionale Non può essere pensata come un’appendice, o un optional - né può rifugiarsi in un atteggiamento moralistico, generatore di assistenzialismo sia a livello politico che sociale..Non punta  tanto al semplice moltiplicarsi di gesti di solidarietà, ma alla costruzione, con la collaborazione di tutti, di una società solidale. Appare chiaro allora che la solidarietà non è una questione di buon cuore, ma di giustizia e in quanto tale é una questione etica della massima importanza.
 
 
2.1.2. L'ispirazione cristiana
 
 
L’ispirazione cristiana rafforza e dà senso compiuto, al livello più alto e più profondo, alla solidarietà così da farne una manifestazione dell'”amore di Dio riversato nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci é stato donato” (Rom 5,5).
Per il cristiano e per la comunità ecclesiale vi sono motivazioni di natura teologica che costituiscono il fondamento solido su cui poggia tutto il discorso sulla solidarietà , reso così più esigente e più ricco, sia nel modo di pensarlo che di attuarlo. Esso si basa su alcune verità fondamentali:
 
- la comune origine di tutti gli uomini da Dio creatore e la sua universale paternità dalla quale scaturisce il vincolo di fraternità che li lega gli uni agli altri, al di là di ogni differenza di razza, di lingua, di cultura e di religione e li pone su un piano di dignità e di uguaglianza che derivano direttamente da Dio che li ha creati “a sua immagine e somiglianza” (Gen 1,27). Nell’altro, uomo o donna che sia, il cristiano non vede solo un suo simile, ma vi scorge l’immagine di Dio che vi é stata impressa in modo indelebile;
 
- l’incarnazione del Figlio di Dio che lo rende solidale con la condizione umana e lo costituisce “primogenito tra molti fratelli” (Rom 8,29) con i quali ha in comune la carne ed il sangue (cfr. Ebrei 2,11 e ss.);
 
- l’appartenenza, per opera dello Spirito, alla comunità della chiesa che san Paolo presenta felicemente come un corpo, composto di membra diverse, nel quale ciascuno deve aver cura del1'altro e tutti delle membra più deboli (cfr.  1C0r 12,12-27);
 
- il comandamento dell’amore, il primo ed il massimo dei comandamenti, nel quale tutto si riassume (cfr. Mt 22,36.40).
 
La solidarietà riveste allora la forma di una virtù cristiana (cfr. Sollicitudo rei socialis, n. 40) e nello stesso tempo é il segno di riconoscimento che siamo di Cristo che ha detto “amatevi come io vi ho amati” (Gv. 13,34): “da questo riconosceranno che siete miei discepoli” (Gv.13,35). Il cristiano infatti è colui che in virtù della fede e dello Spirito sa amare. Come Cristo.
 
 
2.2. L’accoglienza
 
 
L’accoglienza é una delle modalità con le quali la solidarietà si manifesta. Se si é solidali si diventa accoglienti. L’accoglienza ne è il primo passo e come il banco di prova.. Per accoglienza non si deve intendere tanto il gesto di un’ospitalità occasionale e limitata, quanto invece un atteggiamento verso l’altro che supera pregiudizi, distanze  e indifferenza. Accogliere l’altro è anzitutto una questione mentale e spirituale che tocca l'interiorità dell'uomo prima ancora che il suo gesto. Se l’altro non abita dentro di noi si sentirà sempre sulla soglia, come un estraneo. Per questo l’ospitalità non é né immediata né facile. Ha bisogno di costruirsi e di consolidarsi dentro con motivazioni adeguate, soprattutto oggi che spira un vento contrario (“ il chi ti conosce?” non é solo una battuta!) e sembra prevalere l’atteggiamento di sospetto e di difesa nei riguardi del prossimo visto più come “problema o pericolo che come con-cittadino o fratello.
Questo modo di pensare sta purtroppo contagiando i rapporti tra le persone, i gruppi sociali, le generazioni, tra le appartenenze territoriali diverse e tra la società nel suo insieme e le nuove presenze sul territorio provenienti dai paesi poveri del cosiddetto terzo mondo o dall’Europa orientale.
 
 
2.2.1. L'importanza della conoscenza diretta e dell’ospitalità
 
 
Accogliere significa anzitutto accettare l’altro come “dato” e stabilire con esso una relazione fondata su una conoscenza reale, diretta, cioè personale, la sola che può aprire la strada ad una reciproca comprensione, nel senso preciso della parola. Solo così può stabilirsi un rapporto di vicendevole “ospitalità”, di comune arricchimento e, nel proseguo di tempo, anche di amicizia e di fraternità. Ciò che fa la differenza sta proprio nell'essere accolti o rifiutati, come persone, come identità e come presenza. E’ un fatto che può toccare ogni età ed ogni ambiente.
 
All’ospitalità, come espressione di accoglienza fraterna, viene riservata dalla Parola di Dio un'attenzione particolare. Basti ricordare, tra gli altri, l’episodio di Abramo alla quercia di Mamre (Gen 18,1 e ss.) o quello della vedova di Zarepta che accoglie il profeta Elia (Re 17,10 e ss.) oppure l'ospitalità che lo stesso Signore riceve nella casa di Betania da Marta, Maria e Lazzaro (cfr. Lc. 10,38 e ss.). A fronte di questo insegnamento il cristiano e la comunità ecclesia le devono comprendere che nessuno può giustificare in sé e negli altri, - con motivazioni mutuate dal costume sociale contrario o suggerite dal desiderio di comodità -  un atteggiamento di chiusura o di indifferenza. L’invito é rivolto a tutti, ai singoli: “Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (Rm. 15,7) e al paese: “Rimuoverò in un sol giorno l’iniquità di questo paese. In quel giorno, ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la vite e sotto il suo fico» (Zac. 3,10) ed é sostenuto da esortazioni frequenti: e da promesse: “Siate premurosi nell’ospitalità” (Rom. 12,13; cfr. anche 1Pt. 4,9); “Perduri l'amore fraterno. Non dimenticate l’ospitalità, perché taluni, senza saperlo, per essa, ospitarono degli angeli” (Eb. 13,1-2).
 
L'essere ospitali, nella Chiesa dei tempi apostolici, era così importante da essere considerato un requisito richiesto per l’idoneità a svolgere un ministero (1Tim. 3,2). Ed era talmente in onore da essere considerato un dovere anche della comunità come tale, tanto da assumere una forma organizzata per cui un pellegrino o uno straniero erano certi di essere accolti non solo senza difficoltà, ma con gioia (cfr. Atti 18,1-3.26 e ss.; 21,8.16.17; 3Gv. 5-8).
 
 
2.2.2. Anima di tutto é la carità 
 
E’ la carità, rettamente intesa, che non si limita all’elemosina, che spinge all’accoglienza. Essa non è un semplice gesto di aiuto ma è accoglienza appunto. Cosa ben diversa. L’aiuto risponde ad un bisogno, l’accoglienza raggiunge la persona. Infatti si può aiutare senza accogliere, che è ciò che molti oggi propongono, anche a livello politico, per il problema degli immigrati: aiutarli ma senza “riconoscerli” e senza accoglierli.
 
I vescovi italiani nel documento “Evangelizzazione e testimonianza della carità”là dove parlano della carità e delle sue esigenze affermano: “La carità evangelica poiché si apre alla persona intera e non soltanto ai suoi bisogni coinvolge la persona stessa ed esige la conversione del cuore. Può essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente. Accogliere il povero, il malato, lo straniero, il carcerato significa dargli spazio nel proprio tempo, nella propria casa, nelle proprie amicizie, nelle proprie leggi” (ETC, n. 39).
Non è certamente facile. Non lo è particolarmente a livello individuale e familiare che ne dovrebbero essere gli ambiti privilegiati perché più immediati ed ordinari.
 
Il “domus mea tibi patet”, la mia casa è aperta davanti a te, per te! che sta scritto su un’antica casa romana, é raro che si realizzi. Bisogna però onestamente riconoscere che difficoltà oggettive si frappongono, nell’attuale società, ad un'estesa pratica dell'ospitalità - oggetto di una delle “classiche” opere di misericordia corporali che abbiamo imparato al catechismo fin da bambini – perché non vi siamo preparati non solo “organizzativamente” (problema di spazi, di mezzi e di disponibilità di tempo delle persone, ecc.) ma soprattutto culturalmente e spiritualmente. Occorrono preparazione, gradualità e sostegno da parte della comunità anche con forme aggregative adatte, come del resto si é fatto e si fa con buoni risultati, in alcune diocesi e parrocchie.
Più facile invece è, come l’esperienza insegna, dar vita a forme di accoglienza da parte della comunità come tale. Cosa ottima purché la “comunità” ne sia davvero il soggetto e non finisca per delegare ai soliti generosi, che spesso vengono gravati anche oltre le proprie forze, tutto l’onere del servizio.
 
 
3. Solidarietà e accoglienza ai poveri
 
 
Le riflessioni fin qui condotte non hanno fatto altro che preparare l'”habitat” in cui collocare degnamente il tema dell’attenzione ai poveri o come più propriamente va detto della scelta preferenziale dei poveri, ben più impegnativa. La comunità cristiana sull’esempio di Cristo è chiamata a vivere questa scelta “quale esigenza intrinseca del Vangelo della carità, (...) come criterio di discernimento pastorale e (...) come verifica della sua fedeltà a Cristo” (ETC, n. 48; cfr. anche i n. 28 e 39).
Quanto detto antecedentemente assume un valore più specifico e più grande se messo a confronto con la realtà dei poveri che vanno aumentando in numero e in  precarietà
.
I rapporti sulle povertà che periodicamente vengono pubblicati certificano la crescita del loro numero. Si tratta di milioni!  Anche solo da questi dati si comprende come il problema poveri, per la sua gravità, non è un problema marginale che possa essere affrontato con provvedimenti saltuari e frammentari, ma richiede un nuovo modo di pensare e di conseguenza un nuovo modo di far politica e di organizzare la società soprattutto in riferimento alle opportunità che essa offre e  alla distribuzione dei pesi e delle risorse. Il problema poveri  è anzitutto un problema politico - perché é un problema di giustizia e di democrazia - prima di essere un problema di carità, dove normalmente si pensa di relegarlo, per sgravarsene, affidandone la cura al volontariato e alla comunità cristiana. Ignorando volutamente che i poveri sono il “prodotto” di una cattiva impostazione della società, dell’economia e della politica. Giovanni Paolo II ha identificato le cause delle povertà che colpiscono gran parte dell'umanità nelle “strutture di peccato” e nei “meccanismi perversi” costituiti “dalla somma di fattori negativi che agiscono in senso contrario alla vera coscienza del bene comune» (cfr.  Sollicitudo rei socialis, n. 36). Ritorna di nuovo con forza il richiamo alla necessità di una cultura della solidarietà
e dell’accoglienza, capace di generare un modo nuovo di affrontare il problema. La sua gravità e la sua complessità non permettono di affrontarlo quasi di corsa, come quando si adempie un dovere fastidioso di cui liberarsi il più presto possibile. Oppure compiendo sì gesti generosi ma isolati, oppure dedicandosi con generosità al loro servizio ma senza cambiare l’atteggiamento di fondo nei loro confronti. Si esige ben altro, vale a dire un ripensamento globale dei criteri d’impostazione della società dei consumi e degli stili che essa ha assunto e imposto. Tutto questo ci avverte che gli interrogativi che preoccupano riguardano più noi che i poveri. In questo senso la loro presenza diventa stimolo al cambiamento e alla conversione. Ma come cambiare? Quali vie percorrere soprattutto da parte dei cristiani e della comunità ecclesiale? Anche se non esistono ricette, “qualcosa” si può e si deve fare.
 
 
4. Alcune indicazioni utili
 
 
Occorre puntare su alcuni obiettivi precisi, mettendo in atto delle strategie adatte alla sfida, verificate dall’esperienza.:
 
a) Anzitutto un'azione educativa intelligente e diuturna perché la solidarietà e l’accoglienza sono anzitutto delle sfide educative. Bisogna imparare molte cose prima di essere capaci di amare. Dunque, ben sapendo
che “solo l’educazione può cambiare i costumi” (Hans Jonas), si deve puntare con tutte le risorse disponibili a far fiorire nelle coscienze e nella società un nuovo modo di pensare la convivenza ed il rapporto con gli altri, soprattutto con i poveri. Essi non sono da considerare solamente come destinatari della “beneficenza” ma come protagonisti del loro riscatto e della vita sociale - contrastando in questo coraggiosamente l'andazzo del lasciare le cose come sono, (con il pretesto che é impossibile cambiarle) ed il clima di indifferenza o di opposizione. Tenendo conto che “una vera educazione é nello stesso tempo spirituale, intellettuale e morale” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la quaresima 1995) vi sono coinvolte, a vario titolo, tutte le istituzioni educative: famiglia, scuola, comunità cristiana (si pensi anche solo alla diffusa esigenza di spiritualità) e le altre realtà di carattere culturale, ecclesiale e sociale, come ad esempio i mass-media, che hanno un influsso sempre maggiore sul modo di pensare di parlare e di vivere della gente.
Non si tratta di aspettare soluzioni dall’alto, improbabili, ma di agire a livello territoriale dove é più facile, per molti aspetti, un sincero coinvolgimento sui temi e sui problemi che interessano la collettività. Questo processo va però facilitato da parte di coloro che sono  in grado di fornire conoscenze, dati, strumenti e suggerire metodi, ecc. che diventano indispensabili per affrontare i problemi con serietà. Quando1'azione educativa sviluppa un vero processo di maturazione dei singoli, dei gruppi, della comunità, ecc. essa svolge una vera funzione “politica” di grande significato perché fa crescere il senso di appartenenza alla comunità (alla polis) ed il senso di responsabilità verso tutti, particolarmente verso gli esclusi e gli emarginati di ogni tipo
 
b) L’attenzione e la conoscenza del territorio di appartenenza costituisce la “conditio sine qua non” per dare risposte mirate ai problemi che si intendono affrontare. Non si tratta di conoscere per conoscere, ma di conoscere per aiutare. La mappa delle povertà, antiche e nuove, spirituali e materiali, corredata di osservazioni e di dati diventa il punto di partenza non solo per una valutazione complessiva della situazione ma anche per una riflessione culturale sui problemi a cominciare dai più gravi, la cui conoscenza é come il “sale” dell’azione educativa e dell’impegno. Senza una ricerca di questo tipo non c'é approdo per una testimonianza che punti al cambiamento.
 
c) Le risposte concrete che, superando la tentazione dei però e dei ma, traducano in atto, con azioni e progetti, i valori della solidarietà e dell’accoglienza. misurati sui problemi e sulle risorse disponibili. Le risposte che servono non potranno in ogni caso prescindere - nei diversi ambienti - dalla disponibilità delle persone che costituisce ciò che di meglio si possa dare a chi é nel bisogno. Emerge qui il valore ed il ruolo del volontariato di base, sia a livello individuale che familiare, l’esercizio della professione come luogo primario di servizio al prossimo, specialmente ai poveri, la messa in atto di servizi per bisogni scoperti, perché nuovi o disattesi (centri di accoglienza per persone in difficoltà, case-famiglia, centri diurni per anziani, mense, centri di ascolto e di primo intervento, uffici per la difesa legale dei diritti dei poveri, ecc.) ed infine, ma non da ultimo, lo stimolo alle istituzioni perché sentano che la loro, nel riguardo dei poveri, é una responsabilità primaria.. L’attenzione ad essi deve entrare nella programmazione, nella distribuzione delle risorse (leggi: quale è il posto dei poveri nel bilancio degli enti locali?) e nelle scelte politiche. Chi opera in politica é chiamato a far si che la “città” da luogo di disagio e di estraneità o di semplice coabitazione si trasformi in una casa per tutti.
La comunità cristiana - in particolare la parrocchia, nativamente legata al territorio – che spesso é presente in anticipo su altri, deve continuare con alacrità e intelligenza, nonostante le difficoltà, la sua azione educativa alla carità la cui importanza é stata messa in luce con insistenza già dagli Orientamenti pastorali per gli anni ‘90 su “Evangelizzazione e testimonianza della carità”, dal Convegno ecclesiale di Palermo e dal documento dei vescovi  “ Con  la carità dentro la storia che ne raccoglie le indicazioni.e dal convegno di Verona sulla speranza.
 
Solo un’azione educativa comprensiva non solo dell’insegnamento ma anche del tirocinio al servizio (in questo senso i servizi per i poveri sono anche luoghi educativi per la comunità dove si impara a vivere per gli altri e con gli altri il Vangelo della carità ) sarà in grado di dare frutti duraturi. Per questo fu istituita la Caritas (1971), come organismo pastorale “con prevalente funzione pedagogica” (Paolo VI) perché in ogni comunità si svolgesse questa azione educativa alla carità, come si fa per la fede e per la preghiera.
 E’   stato scritto se la carità non esplode é perché le verità di fede non sono vissute. Probabilmente é vero perché anche nella vita cristiana “tout ce tient” come dicono i francesi: tutto si richiama e tutto é legato. Per questo é necessario investire sempre di più nella formazione, attivando tutte le risorse possibili e coinvolgendo le diverse realtà ecclesiali soprattutto laicali (associazioni, gruppi, movimenti, ecc.) specie quelle con finalità educativa.
Se invece la fede é vissuta e l’appartenenza alla Chiesa é sentita, nasce il desiderio di donarsi e la gioia di servire senza apparire e senza nulla chiedere in contraccambio. Come Cristo ci ha insegnato. Contenti di poter amare, perché “l'amore é sufficiente a se stesso, non cerca ragioni, non cerca vantaggi all'infuori di se” (san Bernardo, dai Discorsi sul Cantico dei cantici, disc. 83). Gli basta di esistere testimoniando quell’amore che prima di essere una risposta é un dono di Dio, anzi è Dio stesso.
 
 
Note
 
 
1 Espressione usata da BONOMI A., direttore dell’Istituto di ricerca AASTER di Milano, che ne ha fatto oggetto di una pubblicazione dallo stesso titolo, Edizioni Bollati Boringhieri, Torino.
2 Si veda sul tema della solidarietà il Dialogo sulla solidarietà di Cacciari C. M., Martini ,Edizioni Lavoro, Roma, 1995.con l’introduzione di .Luciano Baronio

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