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Forum  >  IL PRETE DI UNA VOLTA

Assolutamente confidenziale, per quel che serve.
 


IL  PRETE DI UNA VOLTA………..
 

Qualche parola in libertà... siccome " a ciascuno é data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune" ( 1 Cor. 12,7)



Oggi si parla tanto dei preti, per molti motivi, anche perché mentre va diminuendo il numero, se ne avverte maggiormente quanto siano necessari e preziosi per la vita delle nostre  comunità, dove è in atto da tempo un “riassetto” interno di carattere generale che, nelle diocesi, costa fatica, ai preti e ai fedeli, ma che non ha ancora trovato una “sintesi” soddisfacente: cambiando semplicemente l'ordine degli addendi la somma non cambia!  La quale sintesi ha bisogno di ben altri tempi di quelli “programmati” a tavolino. Non può essere fatta a tappe forzate! ed ha bisogno di ben altra riflessione per durare e per essere convincente. Diversa è la via da seguire se si è in cerca di una soluzione del problema o di un rimedio!
 
E’ un’operazione giustificata certamente dal calo delle vocazioni e dai profondi cambiamenti intervenuti nella società e nella chiesa – fatti dei quali si è preso atto con molto ritardo! - ma che ora non può essere fatta al ribasso e in  perdita!
Le soluzioni affrettate  rischiano di far credere che alla nuova situazione si può semplicemente rispondere con una più oculata distribuzione delle risorse sul campo, lasciando in ombra  i veri problemi di fondo, che riguardano l’identità e la missione del prete, oggi,  ed il suo rapporto con la chiesa locale e con la gente che ne costituisce la ragione fondamentale del ministero, in ordine alla formazione delle coscienze e allo sviluppo ordinato della vita della comunità che non ci può essere senza la guida costante di un pastore.
 
Davvero si pensa che la mobilità del clero – soprattutto se eccessiva – giovi alla pastorale? E che basti assicurare l’adempimento dei  servizi liturgici per dire che la comunità è ben servita e curata e che gode di buona salute? La vita cristiana è ben più ampia nelle sue dimensioni e nelle sue esigenze.
La conoscenza delle persone e delle famiglie – “ il pastore conosce le sue pecore ed esse conoscono la sua voce… Egli le chiama ciascuna per nome” ( Giov, 10,3-4.11)  -  è cosa che non si improvvisa, perché ha bisogno di tempo e di tranquillità da parte del pastore e dei fedeli. Per stabilire una relazione personale quanto tempo ci vuole? Viene lasciato questo tempo o si prevede di interromperlo, con disinvoltura, quando si vuole?
L’amministrazione del tempo di un presbitero – che non è solo suo, ma  è dei fedeli di cui deve prendersi cura – permette di non trasformare la vita in una corsa senza fine? Fino all’esaurimento delle forze?
 
L’antico adagio “respice finem” deve spingere ad una valutazione preventiva – come il re di cui parla nostro Signore nel vangelo che prima di dichiarare battaglia ad un altro re si siede e fa di conto se ne ha la capacità e le forze per vincere (cfr. Luca,14,31) e ad una verifica-post, necessarie ambedue, per non rischiare di correre invano e trovarci alla fine pastoralmente sconfitti.
 
Il  “prete di una volta”….. - ognuno di noi ne ha conosciuto, non importa con quale nome o dove e con quali biografia…l’una vale l’altra, tanto che la presente non serve adattarla ai nuovi lettori. Infatti viene pubblicata - compresi alcuni particolari personali, di cui si chiede venia, ma importanti perché rivelano una particolare sensibilità nel rapporto con le persone (cosa non del tutto frequente, oggi!) - così come è stata scritta per altra destinazione, quella della commemorazione fatta nella “sua” parrocchia.
Quante comunità possono vantare simili figure di preti, nella loro storia, dalle quali è venuto un gran bene al popolo. Figure che non devono essere dimenticate e, con il tempo, sepolte in un oblio senza scampo. Con grave danno  non solo per la memoria, ma  per la vita.
 
La comunione dei santi, professata ogni domenica nel simbolo, ci assicura che non siamo soli e che la vita ed i meriti di chi ci  ha preceduto nel campo del Signore, fanno parte di quel “patrimonio spirituale”, al quale attingere, soprattutto in tempi di magra come il nostro, mentre noi ci dibattiamo su tante questioni, senza uscirne, e ci dividiamo in discussioni su aspettii tutto sommato secondari, fatti passare, illusoriamente, come risolutivi della crisi  ecclesiale che attraversiamo. Mentre incombono  sempre di  più problemi di una gravità inaudita che si stanno trasformando in autentiche sfide lanciate contro la chiesa soprattutto nel mondo occidentale. Basti accennare agli attacchi diretti contro la fede, contro la famiglia naturale, contro la vita, contro la  morale, nelle sue diverse espressioni, in particolare quelle riguardanti la natura e il significato della sessualità. E  basti pensare al moltiplicarsi dei divorzi, delle separazioni, e soprattutto al costume delle convivenze che dilaga, e, in ben altro campo, ai difficili rapporti con l'Islam ,  al mancato annuncio del vangelo "ad ogni creatura" ( Marco 16,15) da parte delle nostre comunità; senza  parlare poi della riforma della chiesa voluta dal Vaticano II°, che non si é trasformata nell' attesa autoriforma spirituale ed ecclesiale della sua vita interna che sta all'origine di tante diserzioni e infine  alle controtestimonianze clamorose di ecclesiastici e di laici cristiani, che hanno scandalizzato il mondo intero  ecc. E' su questi temi anzitutto che bisogna dibattere per poter rispondere in primo luogo a noi stessi e darne poi " spiegazione" ai fedeli e testimonianza alla società. Non ci si può distrarre, pensando ad altro, perché non si applichi anche alla nostra situazione il famoso" Dum Romae consulitur, Saguntum exspugnatur".

Forse c'é da preoccuparsi se - in ordine ad una desiderabile agilità spirituale nei singoli e nella comunità, richiesta dai tempi -  per fare una cosa, tutto sommato secondaria, c'é bisogno di uno sforzo quasi " sovrumano" con un impegno eccessivo di tempo, di energie e di risorse, mentre "maiora premunt"!  Mostrando poi alla fine una soddisfazione sinceramente esagerata, come se si fosse vinta una "guerra" e non semplicemente una battaglia che, di sua natura,  lascia impregiudicati gli esiti futuri.

Quest "preti di una volta…" ci fanno sentire che siamo parte di quella tradizione viva della chiesa, frutto dello Spirito che la anima e siamo immersi in quel fiume di grazia che la santifica, fecondandola continuamente dal basso, cioè a quelle profondità “carsiche” dalle quali solamente può germinare e poi fiorire quella “vita nascosta con Cristo in Dio” (Col. 3, 3) di cui parla S. Paolo e che ha da manifestarsi al mondo.
Così si avvera anche oggi la parola del Signore Gesù “ Il regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” ( Matteo, 13,53).
 
La figura del “prete di una volta” può aiutare, a modo suo, ad un confronto che non vuole e non può riportarci a tempi che non sono più i nostri, ma ad evitare di perdere per strada, indaffarati come siamo a rincorrere noi stessi, ciò che è essenziale alla missione del prete di  sempre, che essi hanno onorato con tenace dedizione, con intelligenza e furbizia pastorale, da suscitare in noi un po’ di invidia!
 
 
                                                      

                                                             IL TESTO
 
 
Mons. ANGELO BRIGNANI: l’uomo, il prete, il parroco
della diocesi di Brescia, parroco della parrocchia dei santi Emiliano e Tirso di Villa Carcina    
 ( “confinante” con Concesio, paese natale di Paolo VI°) in Valle Trompia .
 
Parlare di Mons. Brignani per chi l’ha conosciuto, è una cosa gradita perché ha lasciato di sé un  ricordo amabile per molti motivi che fanno di lui una figura singolare di persona e di sacerdote. Chi l’ha conosciuto difficilmente se ne può dimenticare. Ha fatto bene il nostro Arciprete don Oliviero a volere questa commemorazione a cinquant’anni dalla sua morte. Farne memoria è doveroso, come ci insegna la Lettera agli Ebrei : “Ricordatevi di quelli che vi hanno guidato e vi hanno annunciato la Parola di Dio. Pensate come sono vissuti e come sono morti e imitatene la fede” ( Lettera agli ebrei, 13,7). Dunque un ricordo vantaggioso anche per noi, per qualche insegnamento che contiene.
 
La vita di Mons. Brignani può essere riassunta in poche righe, perché fu una vita assolutamente ordinaria, lineare, senza grandi avvenimenti. Questo rende facile e nello stesso tempo difficile parlare di lui. Generalmente in circostanze analoghe quando si vuole suscitare ammirazione e riconoscenza verso un sacerdote si va a cercare quali opere straordinarie abbia compiuto, quali iniziative originali che abbiano fatto parlare di sé, quali costruzioni che tramandino la memoria del suo passaggio.. Inutile cercarle in Mons. Brignani. Tuttavia se la sua memoria è ancora viva ci deve pur essere un motivo che ci spinge a parlarne.
L’attenzione va posta certamente alla straordinaria lunghezza del suo parrocchiato che gli ha permesso di lasciare una traccia profonda nella comunità ma anche alla scelta di dedicarsi ad una azione pastorale ordinaria considerata la più sicura per il bene delle anime, per non rischiare come dice S. Paolo di “correre invano”,. Scelta solo apparentemente più comoda, perché in realtà richiedeva dedizione quotidiana e fedeltà. Era un seguire la vita, più che i programmi. Che ai nostri giorni prevalgono.
La sua non era una scelta isolata, ma comune a tanti che la percorrevano con convinzione, dato il contesto ecclesiale e sociale di allora. Collocata così la sua figura prende il rilievo che le spetta. Il discorso si fa interessante e utile se guardiamo da un lato al retroterra culturale che lo ha generato e dall’altro alle stagioni che si sono susseguite, nelle quali anche noi siamo immersi.
La vita ordinaria, quella feriale, non gode di considerazione nella società attuale. Oggi tutti si sentono più grandi di quel che sono in realtà e mirano a posti sempre più alti. Così é, nell’ambiente di lavoro, anche nella vita delle famiglie, e soprattutto nella vita politica dove si preferisce dar spazio alle grandi ambizioni e ai grandi progetti, che non si realizzano quasi mai perché non hanno dove appoggiarsi. Se la vita quotidiana che costituisce il tessuto dell’esistenza, viene meno e con essa le virtù che la rendono possibile, si crea un grande vuoto e si rischia di naufragare. Come pare!
L’esperienza di contatto diretto con tante parrocchie e diocesi un po’ ovunque in Italia  mi fa dire che questo pericolo è stato ed è largamente presente anche nella vita della chiesa.
Allora viene spontaneo domandarsi se il nostro agitarci in mille modi, il nostro sfornare iniziative a getto continuo, a scapito della vita quotidiana, sia la cosa più saggia, visti i differenti risultati.
 
Certo allora erano tempi molto diversi dagli attuali ma più chiara era anche la visione del sacerdozio per quanto lo riguarda nella sua identità sacramentale e nella sua missione: essi godevano di una solidità diversa che pare venuta meno.
Noi viviamo  tempi incerti e turbolenti, nei quali tutto è stato messo in discussione, rimanendo molte volte a metà del guado. Si preferiscono programmi e  progetti, per i quali si impiegano tempo, energie e risorse e si trascura il rapporto personale , che è tipico dell’azione pastorale e che la distingue da ogni altra. Può essere visto come faticoso – e in fatti lo è - e quasi una perdita di tempo per chi pensa di aver ben altro cui attendere. Per cui  si è sempre attivi e generosi in mille impegni, in realtà raramente presenti alle persone e alle famiglie, le prime destinatarie, che si sentono sole, e un po’ abbandonate a se stesse. Si potrebbe dire che c’é tempo per tutto e non per ascoltare le persone e loro problemi.  E di tutto si può farne una teoria nei convegni, scrivendo libri, come avviene, per esempio, quando si tratta della povertà, dei i poveri, senza mai incontrarli.


La sua umanità
 
 
Mons. Brignani era un uomo buono, sensibile, senza complicazioni e orpelli e senza fronzoli inutili, e senza ambizioni, cosa rara in un ecclesiastico che pare valere e avere considerazione, secondo una mentalità corrente, denunciata più volte da Benedetto XVI°, solo se fa carriera. La sua umanità  trovava alimento nella famiglia della sorella Angelina, - rimasta con lui anche dopo essersi sposata - modello di discrezione e di pietà, che ricordo con il libro delle “Massime eterne” che la guidava nella preghiera e nella visita quotidiana al cimitero sulla tomba del figlio Giovanni studente universitario, morto prematuramente a 22 anni. Il fatto della famiglia della sorella in casa canonica, poteva creare problemi di opportunità agli occhi altrui, ma certo gli ha giovato affettivamente e umanamente, preservandolo dal pericolo di una solitudine non gradita.
Quando anni fa lessi una pagina del grande Don Giuseppe De Luca, - prete che ho imparato a conoscere attraverso i suoi scritti, con grande ammirazione e utilità  - quello stesso che fondò le ”Edizioni di storia e letteratura” e fu autore dell’ opera monumentale “La storia della pietà (della devozione) del popolo italiano” mi venne spontaneo pensare a don Brignani per l’analoga situazione familiare che pure a lui venne rimproverata e che gli ha attirato critiche, anche dai confratelli, ma che non lo hanno mai allontanato dalla sua scelta. Ecco il testo: “Contro ogni amico e contro una parte anche di me stesso perché ne avverto una qualche dissonanza – scrive don De Luca - decisi di annettermi i miei e feci, come può un prete, feci famiglia e numerosa. Mi ha fatto e mi fa bene, mi sorregge e mi conforta, oramai mi fa gioia. Ho famiglia, e sono un uomo, ma non ho donna, e sono prete.
La ragione é di natura affettiva, a motivo di quel solido e insostituibile senso della famiglia, propria del mondo contadino. Si sono chiamati ceppi i vincoli familiari, sono invece qualcosa che assomiglia alle ali, che pesano certo, ma con quel peso si vola. La famiglia è per me un grande ausilio morale: mi dà  serenità, forza, e gioia, e mi impedisce di cadere in un otre di malinconia. Sento il dovere il sentirmi uomo e non prete a quel modo secco e chiuso, che talvolta hanno  i preti” così da sembrare insensibili.
Commentò un suo amico: “Don De Luca ha facilitato un certo agio di vita per le persone della sua famiglia. Meglio aiutare i familiari, se si ha la possibilità, che portare i soldi in Svizzera” (sic!). Se questo è un “peccato” è certamente veniale a confronto di ciò che purtroppo è avvenuto in questi anni nella vita di molti sacerdoti.
E’ doveroso aggiungere che questa scelta non  ha mai impedito a don De Luca di amare i poveri, con i quali aveva una consuetudine quotidiana in un ospizio per anziani dove fu cappellano fin da giovane.
 

Il prete
 

Mons. Brignani apparteneva a quella generazione di preti educati allo spirito di sacrificio e alla mortificazione quale ascesi necessaria per la vita spirituale. Preti che amavano la chiesa e il sacerdozio con dedizione e senza riserve, che trovavano nella preghiera la loro forza.
Come ogni essere umano, non mancava di difetti che non nascondeva affatto, da diventare caratteristici della sua fisionomia, senza dei quali non lo si  sarebbe riconosciuto. Fu prete dalla vita esemplare, senza atteggiarsi a modello, con umiltà e semplicità che trasparivano anche dallo sguardo e dal portamento. Non ho mai notato in lui un sorriso ironico di sufficienza nel riguardo di altri, anche quando la conversazione o le situazioni avrebbero potuto giustificarlo..
Formato secondo il “modello tradizionale” di prete - giunto fino al Vaticano II° - quello che prese le mosse dalla riforma del Concilio di Trento che istituì i Seminari, dove ricevette una solida formazione alla pietà e una preparazione intellettuale essenziale, senza l’aggiunta di tanti corollari non necessari,  finalizzata non tanto al “sapere” quanto a rendere idonei all’esercizio  del ministero, in :particolare alla predicazione e all’insegnamento della dottrina cristiana che trovavano nella lettura e nello studio delle opere dei Padri della chiesa la sorgente privilegiata cui attingere le istruzioni per la vita. Padri non lontani, fuori tempo, ma testimoni vivi della tradizione viva della chiesa, soprattutto con il loro commento sapienziale della S. Scrittura di cui sono maestri necessari anche oggi.. Delle loro opere possedeva una edizione composta di molti volumi pubblicati in una Collana dal titolo significativo: “Corso di eloquenza sacra, ossia Biblioteca scelta dei Padri della chiesa greca e latina” che ebbi in dono da lui e che ho conservato come un ricordo prezioso e un utile  strumento per lo studio.
A scuola – ci raccontava – venivano scelti dal professore dei brani, tra i più importanti che tutti dovevano imparare a memoria per la vita e per l’esame. Così formati questi preti hanno vinto, godendo di autorevolezza., la sfida in una società che ha  visto due guerre, la dura  povertà e problemi sociali acutissimi.
 
 
Il parroco
 
 
* Fu parroco ininterrottamente dal 19 giugno del 1921 al 1 ottobre del 1962, giorno della sua morte. Allora non esisteva il pensionamento a 75 anni, fissato dal Concilio. Fu parroco a vita, grazie anche all’istituto canonico della stabilità (can. 454, confermato anche dal nuovo codice ) che da un lato obbligava il parroco alla residenza, dall’altro lo difendeva da facili trasferimenti ingiustificati o addirittura arbitrari.
La lunghissima permanenza  gli ha dato la possibilità di conoscere le famiglie, i loro ascendenti le vicende personali, le sofferenze, gli errori, i caratteri….era in grado di dare ai nipoti le notizie della vita dei nonni, e degli altri familiari già passati all’altra vita e ai fedeli la possibilità di sentire di avere un padre e un pastore che conosce le sue pecore. Particolarmente nella celebrazione dei matrimoni e dei funerali la conoscenza delle persone e delle famiglie gli permettevano una partecipazione affettuosa alla gioia o al dolore che consolavano.
Mi permetto aggiungere una provocazione che però è in tema: anche se i tempi sono cambiati, senza stabilità - almeno una certa stabilità che consenta un lavoro proficuo - la vita pastorale può apparire un servizio burocratico, perché non importa da chi svolto e per quanto tempo, pensando che i ruoli siano intercambiabili, con la inevitabile sensazione di provvisorietà che non fa bene.
Oggi osserviamo che anche i vescovi, che pur hanno al dito l’anello di un legame sponsale con la propria chiesa,  passano da una diocesi all’altra con una facilità sorprendente, prima inusitata. Non può essere anche questa una causa del malessere ecclesiale, universalmente riconosciuto?
 
 * Al primo posto nei doveri del parroco stava la predicazione, soprattutto la dottrina cristiana degli adulti, preparata sui testi dei Padri della chiesa e avendo come guida sicura Il Catechismo del Concilio di Trento, detto Catechismo romano, o Catechismo ad parochos, opera stupenda, rimasta ineguagliabile per unità e coerenza interna del testo,  chiarezza di esposizione e   stile scorrevole..
Gli adulti riempivano la chiesa – se non partecipavano alla dottrina se ne confessavano come di una mancanza grave - e noi ragazzi del catechismo, ci riunivamo al suono della campana per ricevere insieme la benedizione eucaristica.
La sua predicazione era scevra di retorica e di enfasi, si svolgeva con calma esponendo gli argomenti che adattava alla vita e all’uditorio, che poteva giovarsi di una grande facilità di parola che rendeva interessante e piacevole l’ascolto.
Era fedele al confessionale e alla cura degli ammalati e dei moribondi che difficilmente morivano senza sacramenti, anche se lontani.
A noi seminaristi raccomandava la fedeltà alla messa quotidiana e alla preghiera e vigilava che il pomeriggio si facesse insieme la visita al Santissimo  con la lettura spirituale.
Durante il suo parrocchiato divennero sacerdoti: don Giuseppe Barcelli, prima curato e poi parroco a Cogozzo; P. Umberto Scotuzzi e P. Cesare Antonelli dell’Istituto di P. Piamarta, don Pierino Pasquali, don Felice Rizzini dei Salesiani, il sottoscritto, Don Angelo Nassini, P. Angelo e Ermanno Montini della Consolata. E fiorirono vocazioni alla vita religiosa femminile di cui non sono in grado di fare l’elenco se non di dire il nome di mia sorella Suor Emanuela delle missionarie dell’Immacolata che divenne Superiora generale dell’Istituto.
Non posso tacere la particolare benevolenza per la mia famiglia, in particolare verso la mia mamma per tanti anni insegnante prima a Cogozzo e poi a Villa, verso lo zio Vescovo Mons. Lorenzo Bianchi, per il quale aveva un’autentica venerazione e per me seminarista. Conservo tanti ricordi e potrei raccontare tanti episodi di attenzione di incoraggiamento e di affetto che sempre mi hanno fatto del gran bene.. L’ultima volta lo vidi quando era in ospedale ormai in condizioni molto gravi: interruppi gli esercizi in preparazione al diaconato, per fargli visita. Mi domandò se tutto era pronto per la celebrazione, chiesi la benedizione, si commosse e aggiunse: “avevo chiesto al Signore di vedere la tua prima messa prima di morire”, ma sia fatta la sua volontà.
Il giorno 4 ottobre 1962, festa di S. Francesco d’Assisi ebbero luogo i suoi funerali e la mia ordinazione diaconale.
 
* Non  gli mancarono difficoltà  e sofferenze fin dall’inizio. I sostenitori di don Gennari che già stava in parrocchia e lo volevano parroco, delusi dalla scelta dei superiori, volevano impedire il suo l’ingresso minacciando di buttare nel Mella il trasloco. Anche il clima sociale  era tut’altro che incoraggiante. Erano quelli i tempi degli scioperi, delle ideologie, del socialismo prima e del comunismo poi che faceva paura e che monopolizzava la vita delle fabbriche, ma vinsero la pazienza, la bontà, l’equilibrio e il buon senso, che lo avrebbero condotto, con il passare degli anni, ad essere un padre riconosciuto da tutti..I funerali ne furono una testimonianza straordinaria.
 
Ultimamente soffrì per il distacco delle frazioni di Cogozzo e Cailina che chiesero, in tempi successivi, l’autonomia, considerata vantaggiosa per la cura pastorale delle due comunità. Non condivideva questa decisione, soffrì di non essere stato ascoltato e  soprattutto per il modo con cui venne fatta, soprattutto per la frazione di Cailina che faceva ormai un tutt’uno con Villa.. La decisione per Cailina fu annunciata mentre era in ospedale, ormai grave. La fretta ingiustificata parve a tutti irriguardosa e inopportuna.. Oggi – quasi “ nemesi storica” -  si  riparte da lì per unire ciò che era stato diviso, onde creare una “unità pastorale” ritenuta la scelta più adatta, non solo per il diminuito numero dei sacerdoti.
Era grato a tutti i collaboratori, in particolare lo fu a don Luigi Bosio, che  fu curato di Cogozzo per 21 anni ma che in realtà serviva tutta la parrocchia trascinando i ragazzi e i giovani con il suo entusiasmo e il carattere allegro.
E a Don Giuseppe David che lo accompagnò negli ultimi anni con affetto e collaborando con intelligenza, grande generosità e spirito di iniziativa. In questo periodo fu abbellito l’interno della la chiesa parrocchiale, fu costruito l’oratorio,che attirò molti ragazzi e soprattutto molti giovani, con i quali aveva creato un cordiale rapporto. Li invitava a partecipare  - cosa nuova allora - a iniziative culturali anche in città, a ritiri e agli esercizi spirituali . Si deve a lui l’iniziativa, da molti condivisa, di collocare il busto di Don Brignani sul sagrato della parrocchiale e a lui l’interessamento per ottenergli il titolo di monsignore, ben dato, per quel che vale, a differenza di altri certamente meno meritevoli..  
 
A conclusione ci possiamo domandare: gli uomini di oggi cosa cercano nel prete e cosa rimpiangono di ciò che era una volta?
 
 
Il Testamento spirituale
 
 
La testimonianza più bella l’ha data di sé con il suo testamento spirituale.
 
“ Giunto al cinquantesimo anno del mio Sacerdozio e 40° di parrocchiano in mezzo a voi sento vivo il dovere e il bisogno di ringraziare il Signore dei molti, stragrandi benefici che mi concesso spiritualmente ed anche materialmente. (…) Troppa riconoscenza debbo personalmente alla Mamma del cielo e non so trovare parole che bastino per ringraziarla dei molti benefici ottenuti. La mia longevità la debbo a Lei, dopo le molte crisi della mia vita, la mia salvezza, che spero di poter raggiungere, sarà pure dovuta a Lei, per le molte grazie ottenute, propiziatrice presso Gesù. Per le mie manchevolezze.
Anch’io ho sempre amato la mia parrocchia e ciascuno di voi nei momenti di gioia, vicino a voi ancor più nei momenti di dolore, sopratutto quando la morte, dolorosa separazione dai propri cari, vi ho portato la mia parola illuminata dalla fede confortatrice.
Ho potuto fare qualche cosa di bene alle vostre anime colla predicazione e colla amministrazione dei sacramenti.
Chiedo umilmente perdono alla mia popolazione delle mancanze commesse. Lo spirito è pronto ma purtroppo la carne è inferma.
Domando giunto alla mia tarda età, che continui il vostro affetto a mio riguardo, la vostra comprensione, la vostra preghiera propiziatrice per me al Signore, perché mi apra la porta del cielo”
 
( Dal suo testamento spirituale)
 
Con verità poteva dire con l’Apostolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. (2 Tim. 4,7)
 
 
Don Luciano Baronio
 
Nota: Il testo è tolto dal numero unico “ In ricordo di Mons. Brignani nel 50° della morte, a cura della comunità parrocchiale SS:Emiliano e Tirso di Villa Carcina ( Brescia)

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