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Dai « Discorsi sul Cantico dei Cantici » di san Bernardo, abate
 
(Disc. 61, 3-5; Opera omnia 2, 150-151)
 
Dove ha abbondato il delitto,
ha abbondato ancor più la grazia
 
“Dove trovano sicurezza e riposo i deboli se non nelle ferite del Salvatore? lo vi abito tanto più sicuro, quanto più egli è potente nel salvarmi. Il mondo freme, il corpo preme, il diavolo mi tende insidie, ma io non cado perché sono fondato su salda roccia. Ho commesso un grave peccato; la coscienza si turberà, ma non ne sarà scossa perché mi ricorderò delle ferite del Signore. Infatti « è stato trafitto per i nostri delitti » (Is 53, 5). Che cosa vi è di tanto mortale che non possa essere disciolto dalla morte di Cristo? Se adunque mi verrà alla memoria un rimedio tanto potente ed efficace, non posso più essere turbato da nessuna malattia per quanto maligna. E perciò è evidente che ha sbagliato colui che disse: Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono» (Gn 4, 13). Il fatto è che non era membro di Cristo. (…) io invece quanto mi manca, me lo approprio con fiducia dal cuore del Signore, perché è pieno di misericordia, né mancano le vie attraverso le quali emana le grazie. Hanno trapassato le sue mani e i suoi piedi, e squarciato il mio  petto con la lancia; e attraverso queste ferite io posso «succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia» (Dt 32, 13), cioè gustare e sperimentare quanto è buono il Signore (cfr. Sal 33, 9).
Egli nutriva pensieri di pace ed io non lo sapevo. Infatti: chi conobbe il pensiero del Signore? o chi gli fu il suo consigliere? (cfr. Rm 11, 34). Ora il chiodo che è penetrato, è diventato per me una chiave che apre, onde io possa gustare la dolcezza del Signore. Cosa vedo attraverso la ferita? Il chiodo ha una sua voce, la ferita grida che Dio è davvero presente in Cristo e riconcilia a sé il mondo. La spada ha trapassato la sua anima e il suo cuore si è fatto vicino (cfr. Sal 114, 18; 54, 22), per cui sa ormai essere compassionevole di fronte alle mie debolezze. Attraverso le ferite del corpo si manifesta l'arcana carità del suo cuore, si fa palese il grande mistero dell'amore, si mostrano le viscere di misericordia del nostro Dio, per cui ci visiterà un sole che sorge dall'alto (cfr. Lc 1, 78). E perché le viscere non dovrebbero rivelarsi attraverso le ferite? Infatti in qual altro modo se non attraverso le tue ferite sarebbe brillato più chiaramente che tu, o Signore, sei soave e mite e di infinita misericordia? Nessuno infatti dimostra maggior amore che quando dà la sua vita per chi è condannato a morte. Mio merito perciò è la misericordia di Dio. Non sono certamente povero di meriti finché lui sarà ricco di misericordia. Che se le misericordie del Signore sono molte, io pure abbonderò nei meriti.
Ma che dire se la coscienza mi rimorde per i molti peccati? « Dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5, 20). E se la misericordia di Dio è eterna, io pure canterò per l'eternità le misericordie del Signore (cfr. Sal 88, 2). E che ne è della mia giustizia? O Signore, mi rammenterò soltanto della tua giustizia (cfr. Sal IO, 16). Infatti essa è anche mia, perché tu sei diventato per me giustizia da parte di Dio.
 
Liturgia delle ore vol. III pag. 107-109



Dai « Discorsi» di san Bernardo, abate

(Disc. « De diversis », 15; PL 183, 577-579)
 
Cercare la sapienza
 
Procuriamoci un cibo che non perisce, compiamo l’opera della nostra salvezza. Lavoriamo nella vigna del Signore, perché possiamo meritarci il nostro denaro quotidiano. Agiamo alla luce della sapienza. che dice: Colui che compie le sue opere alla mia luce, non peccherà (cfr. Sir 24, 21). « Il
campo è il mondo» (Mt 13, 38), dice la Verità. Scaviamo in esso e vi troveremo il tesoro nascosto. Tiriamolo fuori. Infatti è la stessa sapienza che si estrae dal nascondiglio. Tutti la cerchiamo tutti la desideriamo. Dice: «Se volete domandare, domandate, convertitevi, venite! » (Is 21, 12). Mi chiedi da che cosa convertirti? Distogliti dalle tue voglie. E se non la trovo nelle mie voglie, dove la posso trovare questa sapienza? L'anima mia infatti la desidera ardentemente. Se la desideri certo la troverai. Però non basta averla trovata. Una volta trovatala occorre versarla nel cuore in misura buona, pigiata, scossa e traboccante (cfr. Le 6, 38). Ed è giusto che sia così. Infatti: Beato l'uomo che trova la sapienza ed ha in abbondanza la prudenza (cfr. Pro 3, 13). Cercala dunque mentre la puoi trovare, e mentre ti è vicina, invoca la. Vuoi sentire quanto ti è vicina? Vicina a te è la parola nel tuo cuore e nella tua bocca (cfr. Rm 10, 8), ma solamente se tu la cerchi con cuore retto. Così infatti troverai nel cuore la sapienza e sarai colmo di prudenza nella tua bocca; ma bada che affluisca a te, non che defluisca o venga respinta.
Certo hai trovato il miele, se hai trovato la sapienza. Soltanto non mangiarne troppo, perché non abbia a rigettarlo dopo di esserti saziato. Mangiane in modo da averne sempre fame. Infatti la sapienza dice: «Quanti si nutrono di me avranno ancora fame» (Sir 24, 20). Non far troppo conto di quello che hai. Non mangiare a sazietà per non rigettare e perché quanto credi di avere, non ti sia strappato, poiché hai tralasciato prima del tempo di cercare. Infatti non si deve desistere dal ricercare o dall'invocare la sapienza, mentre la si può trovare, mentre è vicina. Diversamente, al dire dello stesso Salomone, come chi mangia molto miele ne riceve danno, così colui che vuole scrutare la maestà divina è schiacciato dalla sua gloria (cfr. Pro 25, 27). Come poi è beato l'uomo che trova la sapienza, così è beato pure, o anche più beato ancora, colui che dimora nella sapienza. Questo infatti riguarda forse la sua abbondanza. Certo in questi tre casi sulla tua bocca c'è l'abbondanza di sapienza e di prudenza: se sulla bocca hai la confessione della tua iniquità, se hai il ringraziamento e il canto di lode, se infine hai anche una conversazione edificante. In realtà « con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza» (Rm 10, 10). Come pure: Il giusto si fa accusatore di se stesso fin dal principio del suo dire (cfr. Pro 18, 12), nel bel mezzo deve magnificare Dio ed in un terzo momento deve essere ripieno di sapienza in modo da edificare il prossimo.
 
 
Liturgia delle ore Vol. III pag. 184-186

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