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CATECHESI E MONDO DELL'EMARGINAZIONE
di Mons. Luciano Baronio


"Dite a Giovanni che i poveri vengono evangelizzati...."(Mt 11, 4-5)  perciò il regno di Dio è in mezzo a voi.

 
Emarginazione e catechesi
 
Il titolo della rubrica "guardiamoci intorno"della rivista catechisti parrocchiali, parla da sé: esprime infatti in modo eloquente ciò che la catechesi e un catechista, sono chiamati a fare, per educare non solo alla fede, oggi, ma anche alla vita cristiana. Se per amare Dio bisogna conoscerlo, anche per amare il prossimo, soprattutto il più bisognoso, é necessario un rapporto diretto senza del quale non vi può essere né conoscenza né, tantomeno, amore vicendevole. E' necessario, perciò, che la catechesi e il catechista, presentando il messaggio cristiano nella sua integralità, comprendente la dimensione biblica, dottrinale e spirituale, non dimentichino quella antropologica ed esperienziale. Anche il metodo va adeguato; deve essere, cioè, in grado di esprimere una duplice fedeltà: "a Dio e all’uomo "come "criterio ultimo sul quale i catechisti debbono misurare la validità delle loro esperienze educative"1. Tale metodo ha il vantaggio che non solo consente, ma postula una pluralità di itinerari formativi in  rapporto ai vari ambienti di vita. Il catechista perciò deve "guardarsi intorno". Ha il dovere di conoscere i problemi sociali del territorio, le povertà, i metodi, almeno empirici di rilevazione dei bisogni, per essere in grado di iniziare i catechizzandi ad una vita aperta agli altri. Quel che serve oggi, infatti, é un catechista per tutta la comunità e per tutto l’uomo.
 
La sfida dell’emarginazione
 
Nell'ottica sopra accennata è d'obbligo affrontare il tema dell’emarginazione o meglio la situazione degli emarginati, di coloro cioè che sono lasciati ai margini della vita sociale. Si parla tanto oggi, nelle sedi più diverse, di emarginazione e forse più ancora si scrive. E' il segno evidente che questo grave problema occupa e preoccupa tanti. Come risultato: abbondano le analisi, che si fanno sempre più precise nei dati ed anche nelle previsioni; non così le terapie proposte, che spesso sono inadeguate, soprattutto perché non riescono a suscitare un ampio coinvolgimento nelle responsabilità e nell’impegno. Per ottenere questo risultato occorre:
1. Far conoscere la mappa delle povertà antiche e nuove che i più ignorano in quanto le ritengono non esistenti o appartenenti al passato. Vi sono ad esempio, larghi strati di popolazione che di fatto non fruiscono di alcuni fondamentali diritti umani sia "personali, sociali, economici e politici"2 quali il diritto alla salute, alla vita in ogni stadio della esistenza, al lavoro, all'istruzione, alla casa, alla partecipazione sociale... Quando poi in una stessa persona o in un gruppo avviene l'accumulo di varie forme di indigenza, allora si sorpassa la soglia del "periodo difficile", che può accadere a tutti, o dei semplici stati di disagio dovuti alla povertà per entrare, spesso in modo definitivo, nell’area della marginalità o della devianza, dalla quale assai difficilmente si può uscire da soli. E' il caso degli anziani soli, dei minori abbandonati, degli handicappati, dei tossicodipendenti, delle ragazze madri, dei carcerati e degli ex-carcerati, dei dimessi dagli ospedali psichiatrici, degli incapaci di un lavoro qualificato, dei disoccupati, dei senza fissa dimora, dei nomadi, dei barboni, degli immigrati dell'interno e dall'esterno, dei profughi, dei colpiti da grave malattia, quali ad esempio, il cancro e aids.
Ciascuno di noi può riconoscere e incontrare molti di questi emarginati nella vita quotidiana: per le strade, alla stazione ferroviaria, nel proprio quartiere, sui mezzi pubblici di trasporto ..., senza dire che quasi tutte le città hanno quartieri che sono abitati quasi esclusivamente da poveri. Queste non sono povertà superficiali, ma profonde perché si riferiscono alle condizioni di vita della persona, per la quale la solitudine, la mancanza di affetto, l'assenza di relazioni umane significative, rendono ancora più pesante la mancanza dei mezzi economici di sussistenza. Inoltre, alle povertà da isolamento vanno aggiunte le povertà da rapporto con le istituzioni, a motivo dei servizi sociali inesistenti o mal gestiti.

 
Esiste la “mappa della povertà del tuo territorio? Che cosa fare per tracciarla? Parlane con i catechisti, gli animatori dei gruppi, il parroco...

2. Leggere questi fenomeni nella loro dimensione quantitativa, non basta. Bisogna andare al di la e scavare più a fondo, perché vengano alla luce le cause che stanno all'origine di tanti mali. Non sono da considerarsi inevitabili o frutto del destino, essi coinvolgono le nostre responsabilità sia come singoli che come società: sono infatti il risultato di "meccanismi perversi"3, messi in opera dagli uomini. Alla base vi é una sbagliata o riduttiva concezione dell'essere umano considerato non già come persona, ma per quello che produce o per il ruolo che svolge.
Quindi, ad esempio, l'handicappato, l’incapace e l'anziano, siccome non producono o producono meno e non svolgono o hanno cessato di svolgere un ruolo sociale, restano esclusi dai cicli produttivi e culturali e dalle relazioni anche del gruppo umano più prossimo.  Alle cause culturali vanno aggiunte poi quelle strutturali, riguardanti cioè l’organizzazione della vita sociale nel suo insieme (abitazioni, servizi sociali, occupazione, attività sportiva..), la quale si ispira esclusivamente a criteri di efficienza e di competitività. Chi non ha il passo spedito resta inevitabilmente all’ultimo posto, anzi di lui non ci si accorge nemmeno. Per poco che ci riflettiamo non possiamo non ammettere che si tratta di una realtà tremenda di fronte alla quale dobbiamo riconoscere che "tutti veramente siamo responsabili di tutti"4
 
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Fai l’elenco delle cause” culturali e strutturali” che producono povertà nel tuo territorio
                                                                     


 I rapporti con la catechesi
 
L'immagine più immediata che questa realtà richiama e quella della sofferenza e del travaglio, che esigono una nuova paternità e una nuova maternità. La comunità cristiana non può "passare oltre"5 di fronte all'uomo ferito e abbandonato sul ciglio della strada. Nasce cosi inevitabilmente un confronto diretto e quasi una sfida, tra comunità cristiana ed emarginazione. Evidentemente ne resta coinvolta anche la catechesi, in un rapporto nel quale é chiamata a dare, ma anche a ricevere.
 
1. Ciò che la catechesi può dare
 
Compito della catechesi, come abbiamo già accennato, é conoscere un fenomeno così vasto e così drammatico, ma del quale i più ignorano sia le cause che le conseguenze negative, quando non addirittura l’esistenza. Si tratta però di andare oltre, cioè di formare cristiani non "solo" esperti in umanità", ma immessi nell'umano. Essa lo fa offrendo una lettura teologica della povertà, dei problemi umani, individuandone le cause di ordine morale6. Si tratta infatti di un male morale, frutto di molti peccati che portano a strutture di peccato"7. I poveri e gli emarginati sono la conseguenza del non-amore e perciò del peccato8, che offende non solo l’uomo, ma Dio stesso che gli ha impresso la sua immagine. Per questo motivo la liturgia ci fa pregare Dio: "Perdonaci perché abbiamo disprezzato il tuo Figlio negli emarginati"9. Di conseguenza la catechesi deve parlare della necessità di una autentica conversione che implichi cambiamento di mentalità e di vita.  
Una conversione a Dio che, per essere autentica, deve manifestarsi nell'amore al prossimo, secondo l'affermazione di Giovanni: "Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede"10, ricordando che mentre a Dio chiediamo misericordia, dobbiamo usare misericordia con chi ci è prossimo"11.
Tutto ciò mette in risalto la necessità e l’urgenza di un’ampia azione educativa per tutta la comunità cristiana: e compito della catechesi, educare a praticare la giustizia e i doveri sociali (Paolo VI). Quindi l’obiettivo fondamentale resta la formazione di coscienze cristiane adulte e responsabili, capaci di testimoniare la fede anche mediante un impegno di risposta alle necessità riscontrate sul territorio, che conduca gradualmente ad una mobilitazione generale di energie che, sola, può proporzionarsi al vasto fenomeno della emarginazione.
Ciò non basta. E' necessario che la catechesi elabori degli itinerari formativi, soprattutto per gli adolescenti e i giovani, che, partendo dalla conoscenza diretta delle varie forme di povertà, porti ad un impegno personale che leghi la parola ascoltata alla vita vissuta. Il senso di responsabilità personale e comunitaria, matura con la presa di coscienza "dell’interdipendenza"12, assunta come categoria morale, la quale ha come correlativa risposta la solidarietà quale "determinazione ferma e costante di impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene comune di tutti e di ciascuno13. In questo compito la solidarietà "tende a superare se stessa e a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuita totale, del perdono e della riconciliazione"14.
Vi è infine, un altro modo con il quale la catechesi si occupa dei poveri: andando in cerca di coloro che non entrano nelle nostre assemblee, composte per lo più da gente che "sta bene", annunciando loro la buona novella. Così essa si fa autenticamente "missionaria".
Non per nulla il documento di base sulla catechesi, sostenendo che essa "è destinata a tutti i fedeli"15, invita a prendersi cura specialmente dei "disadattati, dei subnormali per difficoltà di carattere fisico, psichico e sociale ai quali bisogna assicurare forme appropriate di catechesi ed educatori pedagogicamente specializzati. Tutto questo é così importante da affermare che: "la sollecitudine dimostrata a questa categoria di persone è un segno dell’autenticità della catechesi"16.

 
Quali itinerari formativi seguire per favorire in tutti un impegno personale che leghi la parola ascoltata alla vita vissuta?
 


2. Ciò che la catechesi può ricevere
 
Ogni persona è un dono Dio e lo dovrebbe essere anche per gli altri. Gli stessi poveri, senza salire in cattedra, hanno da insegnare e non poco, soprattutto perché sono esperti nel soffrire. Se il regno dei cieli e dei poveri, se ad essi é annunciato il Vangelo"17, anche la catechesi ha da imparare. Lo dimostrano varie esperienze compiute in questi anni.
Il mettersi in ascolto degli emarginati cambia il modo di leggere e di intendere la parola di Dio, perché "la vita con gli altri e per gli altri" aiuta a scoprire contenuti che spesso passano inosservati, per mancanza di sensibilità e di confronto con i problemi reali. La vita, infatti, richiama le cose imparate.
Cambia inoltre il modo di vivere e di pensare perché aiuta a cogliere i messaggi che provengono dalle "devianze", le quali indicano a tutti cosa manca nella cultura, nella vita delle famiglie, della comunità cristiana e della società. Si tratta di convertirsi all’evidenza dei fatti e di cogliere il malessere strisciante che invade la società contemporanea definita "opulenta". Se questa è la società che siamo stati capaci di costruire, non c'é da rallegrarsi: è infatti una "società che crea i poveri e li emargina"18. Essa non può godere buona salute perché non possiede una buona coscienza e quando riflette seriamente, si rende conto che crea dei mali anche a se stessa.
Aiuta a mutare il linguaggio, abbandonando astrattezze sterili sul piano del contenuto e della comunicazione, per adottare parole comprensibili a tutti, affinché il messaggio passi dal libro ai destinatari e, quel che più importa, abbia un riferimento reale alla vita della gente.
Anche i luoghi della catechesi ricevono spazi e dimensioni diverse, superando decisamente la separatezza dell’ora di "lezione", per svolgersi la dove gli uomini lavorano, soffrono, gioiscono.
Finalmente la stimola a pensare e a vivere una "carità consona ai tempi e ai bisogni"19 superando forme assistenzialistiche, umilianti per chi le riceve e un po’ arroganti per chi le da. E' una carità che passa gradualmente dal dono delle cose, denaro o altro, al dono del tempo; dal dono del tempo, al dono delle proprie capacità; dal dono di queste al dono di se, fino a convivere con chi e nel bisogno. In questa logica non può non restare coinvolto personalmente anche il catechista, il quale, se non è anche un testimone, si riduce ad essere solo un "ripetitore", senza capacità educativa.



Note

1     Il rinnovamento della catechesi, 160
2     Sollecitudo Rei Socialis, 33
3     idem op.cit. 16 e 40
4     idem op.cit. 38
5     cf. Lc 10,32
6     Sollecitudo Rei Socialis 35,35
7     idem op.cit. 37
8     idem op.cit. 36
9     dalla liturgia delle ore
10   Cf. 1Gv 4,20
11   Cf. Mc 11,24-25
12   Sollecitudo Rei Socialis, 38
13   idem op. cit. 38
14   idem op. cit. 40
15   Il rinnovamento della catechesi, 127
16   idem op. cit, 126,127
17   Cf Mt 5,3; Lc 7,23
18   La chiesa in Italia e le prospettive del paese,5
19 Paolo VI alle caritas diocesane, Roma 1972

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