La domenica in parrocchia
di Mons. Luciano Baronio
Questa riflessione vuole prolungare l'eco della VII Giornata Mondiale delle Famiglie che ha avuto come tema "Famiglia: Lavoro e Festa" calandone il messaggio nella vita delle comunità parrocchiali, soprattutto mediante la celebrazione della domenica, che è stata al centro di molte riflessioni sia nel convegno teologico che nelle liturgie. "La domenica" secondo l'insegnamento del Concilio è la festa primordiale che deve essere proposta ai fedeli come giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Essa è il fondamento e il nucleo di tutto l'anno liturgico" (Costituzione sulla Liturgia n. 106 b). La presente riflessione che vuol mettere in luce le varie tappe del cammino compiuto dalla chiesa italiana, nel dopo concilio, sul significato antropologico, sociale, e spirituale della domenica è destinata, in particolare ai Centri culturali cattolici per l’aspetto di approfondimento che li riguarda e può giovare anche ad altri operatori pastoraIi, onde moltiplicare, i frutti dell'incontro mondiale.
INTRODUZIONE
Il tema segna il passaggio dalla riflessione teologica all’azione pastorale, la quale ha un ruolo di mediazione tra la parola e la vita, tra l’annunciato ed il vissuto. Del resto, la riflessione teologica é finalizzata anch’essa all'edificazione della vita cristiana personale e comunitaria; altrimenti, a che serve? In questo momento, perciò, non si tratta di rifare un discorso “teorico”, sul quale potremmo già essere tutti d’accordo. Vogliamo invece presentare dei problemi e degli interrogativi, chiosando, in certo senso, sulle affermazioni teologiche che interessano il tema. Anche se in campo pastorale non esistono ricette o soluzioni facili, tuttavia possono essere offerte considerazioni e tentativi di soluzione dei problemi da affrontare. Il tema ci obbliga ad essere concreti sia per la delimitazione territoriale: "la domenica in parrocchia”, sia per l’aspetto specifico riguardante la solidarietà, la quale c’è solo se si traduce in atti concreti, sia perché gli interlocutori sono operatori pastorali, sia pure impegnati in ambiti diversi.
Gli elementi chiamati in causa nella nostra riflessione sono tre: la domenica; la liturgia e la testimonianza della carità, con una sottolineatura importante: quella indicata dalle preposizioni dalla e alla, che evidenziano il collegamento vitale, il movimento che deve stabilirsi dalla liturgia alla testimonianza. Il bisogno avvertito come urgente da tutti è quello di una liturgia e di una carità che s’incontrano e che si generano, reciprocamente. Il nostro deve essere un confronto franco con la realtà che abbiamo davanti. Si tratta cioè di compiere una verifica su come è vissuto in parrocchia ‘”il giorno del Signore”, proposto come “festa del riposo e della solidarietà”. Più che sul dover essere, siamo sul piano dell'esistente, cioé dell’esperienza e della prassi. E’ partendo da qui che possiamo cercare di aprire delle prospettive e di offrire delle indicazioni.
Il tema è più complesso di quanto non sembri a prima vista. Non perché manchino riflessioni sulla domenica o sulla parrocchia o sulla liturgia o sulla testimonianza della carità. Ve ne sono talvolta di splendide, ma non c’è ancora "la domenica”, che le unifichi e le “contenga”. C’é liturgia, c'é carità, ma non è vissuto il nesso, la derivazione e il reciproco influsso. Da anni si scrive, si fanno convegni, si pubblicano documenti del Magistero sulla domenica, ma contestualmente a questi sforzi, abbiamo assistito, quasi impotenti, all'erosione, nella vita dei cristiani e della comunità, del senso e della pratica del “giorno del Signore". La realtà é altrove.
Risulta perciò il nostro un tema pastoralmente e psicologicamente difficile, oggi: ogni riflessione ideale ,se confrontata con la realtà, pare diventare “poesia” o risolversi in una sorta di fiera dei desideri. D’altra parte, tutto questo é avvenuto mentre la parrocchia, come tale, pareva aver superato la crisi di identità e di funzione attraversata negli anni precedenti e immediatamente seguenti il Concilio, grazie alla liturgia che si é ripresentata con riti rinnovati e alla carità che ha acquistato faticosamente un suo spazio ed una sua cittadinanza. Quel che si può e si deve fare, e ce n'è bisogno, è affrontare con coraggio e con impegno il tema ed il problema della domenica: comprenderlo nelle sue dimensioni e soprattutto offrire delle indicazioni a noi e alle nostre comunità, perché la domenica torni ad essere, o meglio, sia davvero, festa del Signore e della solidarietà vissuta. E’ compito dei cristiani riconquistare il vero valore della domenica, giorno del Signore, giorno della gioia, del riposo, della comunità e della solidarietà : valori, oggi, largamente apprezzati anche da chi non pratica, se li vede attuati.
LA DOMENICA IN PARROCCHIA
Per le riflessioni seguenti teniamo come punto di riferimento i dati emersi da due inchieste, lontane nel tempo ma tuttora indicative: la prima promossa dalla CEI e raccolta nel volume “La riforma liturgica in Italia: realtà e speranze”, relativa alla verifica della prassi pastorale in campo liturgico; la seconda è un’indagine promossa dalla Caritas Italiana su “Parrocchia e testimonianza della carità, svolta in collaborazione con la Pontificia Università Salesiana. Non mi soffermo a fornire dati statistici sulle presenze dei cristiani alla messa o sull'esodo crescente di fine settimana dal territorio nel quale la gente vive abitualmente. Anche questi sono elementi su cui riflettere e che non possono essere ignorati da un’azione pastorale responsabile. Ma finiremmo per ripetere cose conosciute e per soffrire di vuoti e di inadempienze. Partiamo, invece, da quel piccolo resto che si riunisce a celebrare l’Eucaristia che corrisponde all'incirca al 20% dei battezzati. Si tratta, allora, di mettere in luce, con estrema onestà, qual é la posizione delle nostre comunità parrocchiali nei riguardi del giorno del Signore considerato nelle sue diverse dimensioni. Ecco, in merito, alcune osservazioni:
1. Iniziamo col dire che c’è la domenica in parrocchia, ma non sempre è la comunità che celebra la domenica. Il soggetto comunitario molto spesso non lo si sente né lo si vede. In parrocchia ha luogo il servizio liturgico al quale chi vuole accede, talvolta ancora secondo una logica che sopravvive, quella del precetto. Ne è spia anche la proliferazione delle messe che ancora imperversa in molte comunità tra loro confinanti. Non si verifica, generalmente, quanto indicato sulla liturgia nella Sacrosanctum Concilium: “Bisogna fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della messa domenicale" (Sacr.Conc. n° 3).
2. La domenica in molte parrocchie è ridotta alla scarna celebrazione eucaristica; la quale normalmente non è né preceduta né seguita da altri momenti comunitari, sia di preghiera che di altra natura. La stessa possibilità di anticiparla al sabato sera, se da un lato ha allargato lo spazio domenicale, d’altro lato per molti si è ridotto il tempo dedicato a Dio, perché nel giorno del Signore vivono completamente assenti dalla comunità. A questo proposito va ricordato che “l’anticipazione al sabato sera o alla vigilia delle feste deve essere compresa nel suo vero significato domenicale e festivo, in modo che i fedeli superino il rischio di farne un’abitudine dettata da ragioni di comodo e di evasione, vanificando il contenuto stesso del giorno del Signore" (CEI, Eucaristia, comunione e comunità, 22/5/83, n. 77).
3. La parrocchia, come tale, generalmente parlando, non ha riproposto con forza e coraggio, e soprattutto con motivazioni approfondite che superassero il richiamo dell'obbligo, il valore della domenica nelle sue varie dimensioni, compresa quella della festa e della carità. E’ mancata una impostazione chiara, dal punto di vista teologico e pastorale, che si traducesse in una "proposta globale' convincente, riflessa poi nei programmi e nelle iniziative di sensibilizzazione ed in quelle operative. Il popolo di Dio invece ha bisogno di essere stimolato ed educato per poter scegliere bene.
Evidentemente la parrocchia, è stata colta di sorpresa, si é sentita sopraffatta dal precipitoso evolvere del costume di vita e della mentalità e si è trovata progressivamente al margine di una società che si è data altri riferimenti, altri valori, altre regole, altri ritmi. Il fatto dell’impossibilità di fermare l’evoluzione socio-culturale e di costume in atto, non ci esime dal registrare le nostre responsabilità a cominciare dal ritardo nell’avvertire l'ampiezza e le conseguenze di un tale cambiamento nella vita sociale e dalla mancanza di un’adeguata risposta alternativa alla sfida. Si è stati spettatori o ci si é adattati con eccessiva rassegnazione alla nuova situazione. Forse vi hanno pesato la consapevolezza di un certo malessere derivante dal fatto di proporre una “festa” che festa non è, in realtà, perché ridotta ai minimi termini, all’adempimento cioè di una presenza alla messa, senza le altre dimensioni della festa, compresa quella comunitaria, che le é essenziale, ed il fatto di dover affrontare, per così dire, una concorrenza impari con altre proposte “laiche”. D’altro canto, ci si è affrettati, da parte di molti, a benedire i motivi, in sé legittimi in verità, per un fine-settimana di vacanza e di svago, senza aver avuto però il coraggio di porre apertamente il problema alla coscienza dei fedeli e soprattutto di ripensare seriamente, in termini aggiornati e realistici, il modo di vivere la domenica in parrocchia perché rispondesse al comandamento del Signore "Ricordati di santificare le feste" e alle nuove esigenze spirituali, ecclesiali, culturali e sociali, via via emergenti.
4. Proprio perché difficile, non é più il nostro, un tempo per una pastorale che si adatta e si piega a tutto, con grave danno. E’ un tempo di scelte qualificate. Oggi serve una proposta chiara e precisa. Evidentemente non si è colto da parte di molti operatori pastorali, laici compresi, il valore di annuncio, di testimonianza ed anche di identificazione che la celebrazione della domenica ha, soprattutto in una società pluralistica, multietnica e multireligiosa come l’attuale, dove altre religioni dedicano a Dio altri giorni della settimana e dove molti vivono senza dedicare né spazio né tempo a Dio e alla preghiera perché o non credono o non praticano in nessun modo. Tenuto conto che la domenica é l’asse portante dell’anno liturgico, che il concilio definisce “festa primordiale” ( Sacr. Conc. 106) la cosa è tutt’altro che trascurabile. Nella congerie delle cose da fare, la pastorale, deve pur darsi delle priorità: una di queste, se non la prima, é la celebrazione del giorno del Signore, che racchiude in sé, a livello simbolico e reale, tutta la vita cristiana.
5. Verso un rinnovato progetto di “domenica”
Non sono mancati in proposito richiami ed indicazioni autorevoli – dal concilio e dai vescovi italiani - per tentare di impostare una proposta globale di domenica da proporre ai singoli fedeli ed in particolare alle famiglie. In questo senso si é espresso il Concilio in più di un documento, in particolare nella già citata "Sacrosanctum Concilium "che si rifà alla Tradizione Apostolica (cfr. SC 106) e che trova eco nei documenti post-conciliari, come ad esempio il Direttorio pastorale dei Vescovi, che così si esprime: “Il Vescovo si impegni con tutte le forze, per far si che la domenica venga da tutti i fedeli riconosciuta, santificata e celebrata come “vero giorno del Signore” nel quale la chiesa si raduna per rinnovare la memoria del suo mistero pasquale, con l’ascolto della parola di Dio, con l'offerta del sacrificio del Signore, con la santificazione del giorno mediante la preghiera, le opere di carità e l’astensione dal lavoro" (N. 86,a).
6. " Le opere dell'ottavo giorno"
A livello di chiesa italiana, risulta assai utile quanto i vescovi hanno scritto in diversi documenti, in particolare nella Nota "Il giorno del Signore" (15/7/84), dove il tema è presentato con ampiezza e dove si parla esplicitamente di “una sola mensa per tutti", "di un solo altare e di una sola assemblea" e delle “opere dell’Ottavo giorno”, al primo posto delle quali é collocata la carità. Già l'anno precedentemente nel documento "Eucaristia, comunione e comunità”, nella II parte, dedicata alla revisione di vita e all’impegno della comunità cristiana, a partire dall'eucaristia, i vescovi avevano richiamato l'attenzione sulla domenica (cap. III), dove si insiste sull'opera educatrice che deve essere svolta nel riguardi del popolo, affinché “la celebrazione della messa non esaurisca l’azione liturgica e la preghiera comunitaria" (n. 79); le famiglie preghino insieme e “la festa non si riduca alla celebrazione eucaristica, ma tenti modi e forme espressive nei rapporti interpersonali familiari e comunitari" (n. 80). In questa luce vengono raccomandate "iniziative pastorali verso i malati, le persone anziane, gli handicappati e le loro famiglie in modo che nessuno resti escluso dalla comunione di carità e dalla gioia delle festa" (ib.). Le indicazioni pastorali offerte alla comunità hanno il loro fondamento teologico nella prima parte del documento ("Il corpo dato e il sangue versato”), particolarmente nel cap. V, dove si afferma che l’Eucarestia educa all’accoglienza (37-40), al dialogo (44-45), al martirio (47), al servizio (53) e alla missione (55). Sono contenuti teologici di rilievo che illuminano in modo particolare il rapporto Eucaristia-chiesa, dove l’Eucaristia é presentata come modello della convivenza umana redenta, in quanto svela il senso della vita e della storia, essendo appunto sacramento dato per la vita del mondo. Temi largamente sviluppati nella Lettera apostolica “ Dies Domini “ di Giovanni Paolo II°. Questi accenni possono essere un punto di partenza valido per impostare e sviluppare un progetto al quale educare la gente, che spesso ignora che vivere “il giorno del Signore" significhi tutte queste cose.
DALLA LITURGIA...
Ci riferiamo particolarmente alla celebrazione eucaristica, affinché da essa traggano ispirazione e forza anche le altre dimensioni della festa.
a) La celebrazione eucaristica ci mette in contatto con la sorgente dell’Amore, l’amore di Dio creduto, celebrato, sperimentato nel dono del Figlio e dello Spirito, da parte della comunità e dei singoli che si sentono amati in modo personale, fedele, gratuito, fino al dono che Egli fa di se stesso. Amati amiamo, cercati cerchiamo. Solo una esperienza profonda di amore apre agli altri. La testimonianza della carità parte dal "noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo’ (1 Gv 4,19) e dall' “amatevi come io vi ho amati’ (Gv 13,34). Non è la nostra carità - così povera e così incostante! - che conta, ma è la testimonianza data a quella di Dio; per cui testimoniare è rivelare l'amore del Signore. Anzi, nella testimonianza, é Dio stesso che ama in noi. La sua, inoltre, è una salvezza che riconcilia, perdona, rinnova i rapporti, compresi quelli di relazione con il prossimo, coinvolge l’esistenza in tutti i suoi aspetti ed anche il cosmo da lui creato: "Ecco faccio nuove tutte le cose" (Ap. 21,5).
b) La liturgia stessa deve essere epifania dell’amore e della comunione, a livello di rapporti comunitari. Il soggetto comunità deve essere evidente nella celebrazione, in quanto la liturgia é la massima espressione della vita della chiesa e ne è il gesto più rappresentativo, tanto che, guardando ad una celebrazione, si può capire quale concezione di chiesa la ispira. Perciò é anzitutto nella liturgia che si deve realizzare la definizione di chiesa dataci da Giovanni Paolo II quale “sacramento dell'unità sinfonica delle molteplici forme di una unica pienezza” dove é evidente il riferimento ai doni, ai carismi e ai ministeri, dei quali lo Spirito la arricchisce. In questa ottica già la stessa composizione fisica dell’assemblea assume rilievo e significato sia per le presenze che per le assenze riguardanti fasce d'età e categorie sociali. Allora é d’obbligo domandarsi dove sonoi giovani e dove sono i poveri. E' onesto riconoscere che i più poveri ( i barboni, i senza fissa dimora, gli anziani soli, i dimessi dagli ospedali psichiatrici, gli immigrati, i nomadi ecc.) non ci sono nelle nostre assemblee liturgiche. Non è un’assenza che possa lasciare tranquilli, se è vero che “dei poveri e il regno dei cieli", sia pure dando alla parola "poveri” un significato comprensivo di varie forme di povertà. Resta, soprattutto, da chiedersi perché non ci sono? Forse perché si sentono ignorati - la sofferenza più grande per una persona è quella di non essere pensata da nessuno - snobbati, guardati con diffidenza, non amati ed anche colpevolizzati per la loro situazione. Forse perché la convenienza sociale domanda un vestito che essi non hanno, la comprensione di un linguaggio che non é il loro, la presentazione di un’offerta conveniente, almeno per talune circostanze, per la quale non hanno disponibilità. Tutto ciò evidentemente domanda alla comunità una profonda conversione di mentalità e di atteggiamenti, perché i poveri possano rientrare “in famiglia” e trovarsi senza disagio nelle nostre assemblee. Ciò comporta, inoltre, decisioni e gesti concreti che facilitino la loro partecipazione quali, ad esempio, l’eliminazione delle barriere architettoniche che rendono inaccessibili le nostre chiese agli anziani ed ammalati; un ministero di accoglienza che li faccia sentire attesi e desiderati; l’affidamento di ruoli attivi, ministeriali, nell'azione liturgica. Ognuno intuisce che "il vero rinnovamento delle nostre comunità parrocchiali secondo l’espressione del card. Colombo, del quale si intende fare particolare memoria, inizia, quando, partendo dall'Eucarestia, esse sapranno avviare il culto dei poveri”.
c) Inoltre la “liturgia in azione" deve sviluppare tutta la sua potenzialità educativa alla carità della comunità cristiana. Essa svolge questo compito in un modo proprio, attraverso la parola, i segni e i gesti.
- La parola, che annuncia e svela il mistero dell’amore di Dio: una parola non ridotta all'annuncio di verità astratte, slegate dalla vita, ma attualizzata, attraverso l'omelia di chi presiede, le preghiere dei fedeli, finalizzate a leggere l'”hodie” di Dio nell’hodie dell’uomo, facilitando così una lettura teologica dei problemi umani, che ne sveli il senso più profondo e spinga ciascuno dei partecipanti e sentirsene responsabilizzato.
- I segni, sia quelli di istituzione divina che ecclesiale, la cui valorizzazione é fondamentale per una liturgia ben celebrata. Se il segno ha il rilievo che gli spetta, la celebrazione sarà caratterizzata anche da maggior sobrietà nelle parole e nell’uso del tempo, come esige il rispetto per l’assemblea e per il mistero che viene celebrato. Presiedere la liturgia, infatti, non é intrattenere i fedeli, ma celebrare insieme. Alcuni di questi segni rivestono un preciso significato educativo alla carità, come ad esempio la “fractio panis” e il segno della pace.
- I gesti sono quelli compiuti dalla comunità con i quali essa risponde e introduce nella liturgia la vita vissuta, le sue dimensioni ed i suoi problemi. Ciò avviene, per esempio, con il gesto offertoriale che porta all’altare il pane e il vino e i doni destinati ai poveri, la colletta svolta durante l’assemblea, l’accoglienza e il congedo che rispettivamente aprono e chiudono l’azione liturgica. Qui si apre un vasto spazio alla creatività . L’intensità della fede, la partecipazione sentita e la gioia dell'incontro con Dio e con i fratelli creerà il clima della festa, sottolineata dal canto, dalla preghiera ed anche dal silenzio condiviso.
... ALLA TESTIMONIANZA DELLA CARITA’
Una liturgia così celebrata costituisce la sorgente che alimenta ed ispira la testimonianza. Essa, migliorando il cuore dell’uomo, non può non spingere all’impegno di servizio esercitato verso il prossimo, per amore di Dio, negli ambienti di vita: famiglia, lavoro, politica, tempo libero ecc... Già nella chiesa primitiva la domenica era sentita e vissuta come "il giorno più adatto per la carità". S. Giovanni Crisostomo ne dà ragione dicendo che “in questo giorno ci vennero elargiti innumerevoli beni...; conviene perciò onorarlo spiritualmente non con banchetti, con copiose libagioni, con ubriachezze, con danze, ma col donare ai più poveri tra i fratelli". Sono queste le “opere dell’Ottavo giorno" riproposte dalla sopra citata Nota CEI su “Il giorno del Signore". Dunque, "la diaconia ecclesiale procede dall’Eucaristia. Forse per questo Luca collega l’esortazione di Gesù al servizio col racconto dell’Ultima cena. Il Cristo della cena, nel racconto di Giovanni, é in atteggiamento essenzialmente diaconale; mentre é a tavola con i suoi compie un servizio riservato agli schiavi, lavando i piedi ai discepoli. Lui che é il maestro ed il Signore. E’ anche questo un memoriale consegnato alla chiesa, un invito a fare come ha fatto lui nell’atto di spezzare il pane” (Eucaristia, comunione e comunità, n. 53). Allora “l’esperienza liturgica dovrà proiettarsi nell’impegno della carità e della giustizia e le comunità cristiane ne devono dare concreta testimonianza soprattutto nel territorio in cui vivono" (La Chiesa italiano e le prospettive del paese, n. 19).
Desideriamo qui sottolineare che la testimonianza di cui si parla è quella richiesta alla comunità come tale, la stessa che ha ascoltato la parola di Dio e celebrato la Pasqua del Signore. Ad essa é richiesta una testimonianza visibile e riconoscibile da chi sta fuori, mediante le opere, secondo l’indicazione del Maestro: “da questo riconosceranno che siete miei discepoli" (Gv 13,35). Si apre qui tutta la dimensione della missionarietà che si esprime non solo nella "missio ad gentes" ma nel rapporto chiesa-mondo, ambedue strettamente legati sia all’annuncio che alla testimonianza della carità. Scrivono i vescovi: "Quando il rapporto esistente tra eucaristia e missione non é tradotto in adeguata testimonianza, il rito ne é come svuotato e appare come una pratica usuale di nessuna incidenza nella vita quotidiana. Questo avviene quando la celebrazione rimane nei limiti di una convocazione che non sa di essere per il mondo e con il mondo” (Eucaristia .... , n. 72). Tutto questo si fa particolarmente vero ed esigente per la parrocchia, la quale, inserita di regola, nella popolazione di un territorio, é la comunità cristiana che ne assume la responsabilità. Ha il dovere di portare l’annuncio della fede a coloro che vi risiedono e sono lontani da essa e deve farsi carico di tutti i problemi umani che accompagnano la vita di un popolo per assicurare il contributo che la chiesa può e deve dare” (Comunione e comunità, n. 44).
Per poter attuare questo impegnativo programma, è necessario che la parrocchia conosca la realtà del territorio: la gente, le abitudini di vita, le culture, i problemi, la situazione dei poveri, ecc...,mediante strumenti accessibili, quali l’osservazione costante della realtà, ispirata da interesse e da amore per le persone, compiuta in modo particolare dagli operatori pastorali - sacerdoti, catechisti, animatori liturgici, ministri straordinari dell’eucaristia, ecc.. -; l’istituzione di un centro di ascolto che potrà poi collegarsi con l’osservatorio delle povertà a livello diocesano. Non basta che la parrocchia conosca la realtà e ne raccolga i dati, essa deve far conoscere, cioè sensibilizzare la comunità, affinché ne prenda coscienza e si prepari a dare delle risposte adeguate. Le risposte di carità da promuovere devono offrire una vasta gamma di proposte che possano coinvolgere il più alto numero possibile di persone e di realtà. Non é pensabile, perciò, che l’azione di carità di una parrocchia si riduca al semplice gesto dell'elemosina; essa invece va legata ad un’azione che promuova e difenda i diritti soprattutto dei più deboli; comprenda l’impiego del tempo da dedicare agli altri attraverso le varie forme del volontariato; passi attraversa l’impegno sociale e politico che tende a cambiare le situazioni di ingiustizia; coinvolga l'esercizio della professione, mettendo a servizio del prossimo le proprie capacità; giunga anche a sentire come propria la condizione di chi è in difficoltà.
Ognuno di questi aspetti della testimonianza può trovare, particolarmente nel giorno del Signore, varie opportunità di attuazione. Soprattutto é il momento, quello della domenica, nel quale viene messo l’accento sulle risposte comunitarie ai problemi del territorio, coinvolgendo e unificando il contributo che ciascuno può dare. Va comunque incrementata l'opera di sensibilizzazione stimolando alla collaborazione di quanti sono disponibili ai servizi aperti della comunità, quali ad esempio un centro di accoglienza per i "senza fissa dimora” o una mensa per immigrati. Uno strumento di richiamo e di stimolo può essere anche il cosiddetto “albo delle disponibilità" al quale aderire, in uso in molte comunità.
CONCLUSIONE: l’audacia della domenica
Possiamo concludere con le parole che il card. R. Etchegaray ha pronunciato a conclusione dell’ assemblea ecumenica di Basilea dove ha coraggiosamente proposto la domenica come giorno ecumenico da vivere con impegno da parte di tutte le confessioni cristiane: "L’audacia della domenica nella sua novità cristiana é di aver saputo integrare poco alla volta le intuizioni più profonde del sabato ebraico: la domenica della ri-creazione non fa dimenticare il sabato della creazione; il pasto eucaristico del Signore non fa dimenticare il riposo sabbatico dell’uomo. Anche oggi in una società secolare e pluralista, per salvaguardare il senso della domenica con tutte le sue armonie, la chiesa é chiamata ancora a dare prova di audacia e di immaginazione. Difendendo la domenica ad ogni costo contro la banalizzazione della week-end, la chiesa é cosciente di adempiere ad un dovere sociale, ad una missione religiosa e di rispondere ad un compito cosmico e ad un servizio umano".
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