Il tempo liturgico che stiamo vivendo con la chiesa ci richiama alle ultime realtà che riguardano la vita di ciascuno che, man mano trascorre ci avvicina sempre di più, inesorabilmente, verso la fine. Così è per l'umanità intera. La virtù propria di questo tempo è la speranza della quale ha parlato anche Papa Francesco nell'omelia tenuta a S. Marta, in Vaticano martedì 29 ottobre 2013, definendola un dono dello Spirito Santo e "una aspettativa", da non confondere con il semplice ottimismo. La riflessione che segue vuole aiutare una meditazione che ne prolunghi la eco e l'insegnamento.
“La speranza non delude“
“Ancora” e “Vela” della nostra vita
Soprattutto in tempi difficili, come quelli che stiamo vivendo bisogna pensare alla speranza, ma a quella vera che nasce dentro e che viene dall’alto,senza della quale l’uomo è smarrito e non sa se ci sarà salvezza. Sia di fronte a se stesso, alle vicende interiori ed esterne che lo attraversano in modo intricato e talvolta inestricabile, come pure di fronte al futuro che oggi si presenta non solo incerto ma minaccioso. Dove sono finite, nel mondo, le parole che generano speranza e che educano al rispetto della vita e alla gioia? Occorre prendere coscienza del “momento” che stiamo attraversando se non si vuole cedere al ricatto disastroso della paura e della debolezza di pensiero tipica della nostra società, che evita le domande impegnative ed imbarazzanti invece di cercare le medicine contrarie ai mali che l’affliggono. Questa medicina della quale si ha particolarmente bisogno, oggi, ha un solo nome: speranza! Essa innanzitutto fa giustizia di ciò che illude e poi delude, di ciò che abbaglia senza illuminare, di ciò che appare senza essere, di ciò che soddisfa senza appagare, di ciò che fai senza un perché, di ciò che rincorri e non lo merita. Di ciò che non è costruito sulla roccia ma sulla sabbia inaffidabile perché non può dare stabilità.
La speranza è una virtù teologale
La speranza non è lo stato d’animo dei momenti migliori, ma la forza interiore dei peggiori, senza via di uscita umana ma luogo, anch’essi, della presenza di Dio. Si sa che la speranza è una virtù e tra le maggiori che insieme con la fede e la carità formano il ternario delle virtù teologali infuse in noi dallo Spirito Santo nel battesimo. “Queste le tre cose che rimangono - scrive S. Paolo - la fede, la speranza e la carità” (I Cor. 13,13). Intimamente legate tra loro così che nessuna delle tre può vivere senza le altre. La fede vede quello che sta ora nel tempo e nell’eternità. La speranza vede quello che sarà domani nel tempo e nell’eternità. La carità ama quello che è, la speranza ama quello che sarà e lo desidera ardentemente ponendo il proprio cuore e le proprie aspirazioni soprattutto “la dove sono le vere gioie”, secondo l’esortazione di S. Pietro: “Fissate ogni speranza in quella grazia che vi sarà data, quando Gesù Cristo si rivelerà”. (1 Petr. 1,13).
In certo senso la speranza è più meritoria della fede perché esige più coraggio. Infatti non è gran cosa credere per chi non è cieco, visto che Dio risplende nella creazione, ma sperare, sperare sempre ogni giorno - “contro ogni speranza”, secondo l’espressione di S. Paolo – mentre l’attesa di Colui che deve venire e di ciò che si desidera sembra interminabile. Ciò richiede perseveranza talvolta fino all’eroismo. Senza le tre virtù teologali - ed in particolare senza la speranza, che è la più dimenticata delle tre - non si dà vita cristiana perché esse sono le tre vie attraverso le quali è possibile un rapporto con Dio creduto, amato e sperato, come sommo bene. Dio ha promesso in anticipo ciò che vuol realizzare e realizza poi fedelmente ciò che ha promesso. Tra la promessa e la sua realizzazione si colloca appunto la speranza che si fonda sulla fedeltà di Dio. La speranza cristiana spesso è raffigurata con l’àncora - così come lo è nella meravigliosa statua del Calegari - ma forse il simbolo più indovinato è la vela che sospinge la barca della vita e della chiesa con la forza del vento. Se non ci fosse la speranza tutto si fermerebbe. Sarebbe come un camminare senza meta e senza senso. Disorientati. Fu la speranza, che all’inizio della chiesa, diede al messaggio cristiano quel fascino e quella straordinaria forza di attrazione e di espansione che lo portò in breve fino ai confini della terra perché il mondo è sempre stato assetato di speranza più che di pane.
Più conosciute sono la fede e la carità - anche se non sempre rettamente intese nella loro pienezza - meno lo è la speranza della quale si parla poco e della quale si ha un’idea molto vaga, più consolatoria che reale: quale pio desiderio che avvenga ciò che si vorrebbe, con la segreta paura però di rimanere delusi. Infatti si usa dire nelle difficoltà: speriamo! Ma con un tono così dimesso e con un sottofondo di pessimismo che riduce la speranza ad un modo di dire, che riempie il vuoto del muto silenzio di chi non sa. Invece è un’attesa di ciò che può o deve avvenire perché promesso da Colui che è in grado di compiere ciò che ha detto. La speranza ha un fondamento solidissimo nella fede in Dio, conta sul suo amore, sulla sua chiamata, sulla sua potenza, sulla sua fedeltà.
“La nostra speranza è Cristo”
Tutto in Lui si è realizzato di quanto promesso fin dalle origini e tutto in Lui è stato anticipato di ciò che si realizzerà in noi. In Lui il “tempo” è compiuto ma non è finito. C’è il nostro. Vi è infatti il tempo della nostra vita che scorre - non sappiamo fino a quando - quello della chiesa e della storia umana. “Dio ci ha rigenerati, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti per una speranza viva” (1 Petr. 1,3). “Nella speranza noi siamo stati salvati” (Rom. 8,24). È Dio che mediante Cristo, ci dà speranza! Ed apre all’uomo un futuro di certezza. “Dio è per noi rifugio e forza, aiuto sempre vicino nelle angosce, perciò non temiamo se trema la terra” (Salmo 45). Lo Spirito Santo ne è la fonte, la genera, la illumina, la fortifica. La speranza fa pregare, dona sicurezza, conforto, gioia e fierezza, che non si lascia abbattere dalle sofferenze presenti in vista della gloria che deve rivelarsi in noi. La speranza è l’attesa dei beni futuri perché protesa per sua natura verso i beni invisibili, come ci ammonisce, nel suo bel latino, la scritta posta, a caratteri maiuscoli, sull'ingresso del cimitero della città di Brescia: "Evanuerunt dies, veritas ultima vitae, illuxit in Domino" ( I giorni [assegnati a ciascuno di noi] ormai sono svaniti, la verità ultima della vita, risplende nel Signore). La speranza poggia sulla fede e si nutre della luce che viene da Dio, la sola che può illuminare il tramonto.
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“Rendere ragione della speranza che è in noi”
Noi cristiani siamo responsabili della speranza che ci è stata donata. Di essa dobbiamo essere pronti a rendere ragione non solo con la vita ma anche con la parola a coloro che anche tacitamente ci interrogano, soprattutto in certi momenti della vita. Di essa siamo chiamati a rispondere a chiunque ce ne chieda il senso ed i motivi. Non si può rimanere muti in un mondo nel quale tante parole e tanti messaggi si incrociano per spiegare ciò che non riescono. Ai figli bisogna dare una speranza prima ancora che un pane; ai propri alunni bisogna dare una speranza prima che una scienza astratta, agli anziani una speranza che vale più che una pensione pur necessaria e doverosa. Perché si può continuare a vivere quasi senza tutto, come succede ai poveri, ma non si può vivere senza speranza! Che spesso manca proprio a chi non manca di nulla e può conoscere invece la disperazione, come di fatto avviene nella nostra società che tutto dà ma toglie il meglio dal cuore dell’uomo. Pare che a noi giunga questa domanda che è un’invocazione: “Dov’è o cristiani la vostra speranza?”. Il mondo ne ha bisogno e Cristo ci ha domandato di essere “luce”. Dobbiamo sentire sulle nostre spalle anche la disperazione del mondo. Perciò per il cristiano la speranza è una responsabilità. Quante volte invece si preferisce tacere, come se non avessimo nulla da dire, piuttosto che testimoniare e rendere ragione della speranza che arde dentro.
La Speranza e le speranze
Anche le speranze umane purché legittime entrano nel piano di Dio quali piccoli segni e anticipi di ciò che sarà, come le piccole gioie ci fanno pregustare quelle grandi. La speranza cristiana che guarda all’al di là, non disprezza la vita presente ed i doni che l’accompagnano, come la gioia, la giustizia, la fraternità, la solidarietà e la pace, che tutto riassume. Anzi promuove ed organizza i piccoli segni di speranza, li nutre e li coltiva. Anche la chiesa ci sospinge sulla strada degli uomini dove lo Spirito è all’opera fin dalla creazione. Il Concilio Vaticano II, il primo della storia della chiesa che abbia scritto un documento sui rapporti tra la chiesa ed il mondo contemporaneo - inizia con le parole “Gaudium et spes”, cioè “gioia e speranza” dicendo: “le gioie e le speranze … degli uomini del nostro tempo sono pure le gioie e le speranze dei discepoli del Signore”. La speranza cristiana riesce, con la forza dello Spirito Santo, a trasformare i problemi in occasioni di crescita e a trarre del bene anche dal male (Romani 12,21). Allora come dice S.Agostino: “Amiamo nella speranza!” perché dice il Signore: “io conosco i progetti che ho fatto a vostro riguardo, per concedervi un futuro pieno di speranza” (Geremia 29,11). Sia questo lo spirito con il quale viviamo il nostro tempo così gravido di paure e di rischi ma così importante per il nostro futuro.
di B.L. |