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CATECUMENATO E TRASMISSIONE DELLA FEDE
 
di Luciano Baronio
 
I. Catecumenato e vita cristiana
 
 
L'accostamento dei due termini potrà sembrare improprio a molti, tenuto conto che comunemente si ritiene che il catecumenato abbia avuto e abbia tuttora rapporto solamente con la catechesi - anzi sia il tempo per eccellenza della catechesi e di una catechesi sistematica e globale - e con la celebrazione del battesimo al quale prepara e del quale sviluppa le "virtualità", facendone poi prendere coscienza soprattutto mediante la mistagogia, quale riflessione sul mistero celebrato. Molti pensano perciò che esso si esaurisca in queste due dimensioni. Non é così. Il catecumenato infatti é una iniziazione a tutta l'esperienza cristiana mediante un "insieme" sapientemente organizzato di tappe, di scadenze e di riti che fondono armoniosamente tra loro le dimensioni essenziali della vita cristiana:
 
- l'ascolto della Parola mediante il primo annuncio e la catechesi
- il momento liturgico con i riti che ne segnano il cammino e con la celebrazione dei sacramenti;
- l'introduzione graduale nella comunione ecclesiale mediante esperienze di vita comunitaria;
- l'impegno della diaconia nell'esercizio dell'apostolato e delle diverse forme di servizio e di carità1.
 
Se infatti la vita cristiana è vita non é riducibile al solo "sapere" della fede o alla celebrazione dei sacramenti ma comprende, come tutto di esse, un comportamento conforme alla verità trasmessa e accolta e al dono della vita divina ricevuto nei sacramenti della iniziazione: battesimo, cresima, eucarestia che costituiscono una unità profonda, che introduce alla piena partecipazione al mistero pasquale di Cristo. Ciò rende possibile l'esercizio di quella regalità (sacerdozio regale) che si esprime soprattutto nell'offerta della propria vita, nello spirito del comandamento nuovo che Cristo ha lasciato ai suoi discepoli e nel quale tutto si riassume. Perciò il catecumenato si presenta come una “istituzione” di tipo iniziatico a carattere catechetico, liturgico e morale (...) durante il quale il candidato acquisisce la conoscenza del patrimonio di fede, di preghiera e di vita della chiesa e si allena allo stile di vita cristiano"2.
 
 

II. Dal modello della chiesa antica alle attuali esigenze pastorali
.
 
 

Questa dimensione della diaconia, che coinvolge tutta la vita della persona é decisiva nel senso che tutto il cammino catecumenale é finalizzato alla santità della vita del catecumeno e del neofita e costituisce la verifica dell'autenticità della conversione a Cristo. Questa dimensione balza evidente anche dalla "rivisitazione storica" del catecumenato della chiesa antica soprattutto per alcuni suoi elementi caratteristici.
 
- Introduce a tutto il mistero della salvezza
 
In esso, infatti, già lo stesso annuncio del Vangelo (prima evangelizzazione) e la catechesi non si limitavano a presentare il significato e la portata del battesimo-cresima-eucarestia, ma introducevano a tutto il mistero, mediante la narrazione della storia della salvezza contenuta nelle Sacre Scritture (emblematico a questo proposito é il "De Catechizandis rudibus" di S. Agostino) tanto che la "spiegazione" vera e propria sui sacramenti della iniziazione - in particolare del battesimo - avveniva dopo la celebrazione con le catechesi mistagogiche tenute durante il periodo pasquale. Classiche, in questo senso, sono le catechesi mistagogiche dei Padri del IV secolo.
Diversamente da quanto é avvenuto più tardi - concezione e prassi tuttora in atto - non si considerava la celebrazione dei sacramenti della iniziazione come una meta, come un punto di arrivo, bensì come un punto di partenza. Infatti sono i sacramenti che realizzano l’iniziazione, alla quale deve seguire una vita "secondo lo Spirito" e non più "secondo la carne", - come ricorda S. Paolo - le cui opere si contrappongono perché ispirate le une all'agape e le altre all'egoismo. La nostra pastorale, ispirata ad una impostazione teologica diversa, ha favorito invece nella mentalità del popolo una concezione della catechesi ridotta quasi esclusivamente alla preparazione ai sacramenti, e a pensare la recezione dei sacramenti come un “dovere" da compiere, fine a se stesso3. Dopo di esso scatta l'ora del congedo dalla comunità invece di quella della testimonianza, come avviene in larghissima parte per i preadolescenti o gli adolescenti appena hanno ricevuto la cresima.
 
- E' tirocinio alla vita cristiana
 
Nella logica e nella prospettiva della chiesa antica i catecumeni acquisivano lentamente una mentalità di fede ed uno stile di vita conforme al Vangelo mediante la preghiera, la partecipazione graduale alle assemblee liturgiche e l'esercizio concreto delle opere di carità fraterna, già praticata nella comunità4, come ci attestano gli Atti degli Apostoli - vedi, tra gli altri, il testo 2, 42 e ss. - ed i primi libri della comunità, quali la Didachè, la lettera di Barnaba, la Tradizione apostolica di Ippolito Romano e la Prima Apologia di Giustino5. La carità veniva esercitata verso tutti i componenti la comunità con particolare attenzione ai poveri. Qui la "parola" mostrava ciò di cui era capace: i rapporti umani interpersonali e sociali venivano profondamente trasformati.
In questo senso il cammino catecumenale costituiva un vero tirocinio alla vita cristiana. Avveniva così una traditio, nella quale parola, preghiera e vita erano correlate perché considerate vicendevolmente necessarie: si trasmettevano i contenuti della fede della comunità ma anche la sua esperienza di vita. E la "redditio" non poteva limitarsi alla professione verbale della fede o alla recita del "Padre nostro" (consegnato non solo come preghiera ma anche come regola di vita), ma esigeva il complemento della testimonianza. Dunque il tirocinio alla vita cristiana e l'introduzione alla vita di carità del popolo di Dio sono elementi essenziali del catecumenato che non possono essere taciuti o disattesi.
Se ciò avvenisse non solo costituirebbe una grave lacuna per le nuove esperienze di catecumenato che si sono avviate e si stanno avviando anche in Italia, ma sarebbe in aperta contraddizione con le acquisizioni soprattutto del periodo post-conciliare, sia in campo catechetico - dove si é passati dal catechismo per la dottrina alla catechesi per la vita6, definita dal IV Sinodo dei Vescovi come "parola, memoria e testimonianza"7 - che in quello liturgico, dove il rapporto con la vita, personale e comunitaria, é giustamente esigito come necessario, pena la riduzione della celebrazione a rito8. Lo ricorda con chiarezza anche il nuovo codice di diritto canonico (1983) dove si afferma: "I catecumeni mediante l'istruzione ed il tirocinio della vita cristiana siano opportunamente iniziati al mistero della salvezza e vengano introdotti a vivere la fede, la liturgia e la carità del popolo di Dio e all'apostolato” (can. 788).
 
 
- Ruolo della comunità ed educazione alla carità
 
 
L'accenno fatto alla comunità - in tutte le sue componenti - che accoglie e che educa i catecumeni, come una "madre" - e all’apostolato come missione e come invio al mondo9, soprattutto dei neofiti, rafforza ancora di più la dimensione della diaconia, che certamente include la testimonianza della carità anche se non si esaurisce in essa. Quanto cammino resta da fare perché cresca la consapevolezza di questa "soggettività" e di questo ruolo alle nostre comunità! Essa darebbe ai catecumeni e ai neofiti il senso di appartenenza ad una comunità concreta e favorirebbe il superamento di una concezione intimistica ed individualista della fede, della preghiera e della vita cristiana, così largamente diffuse. Il tempo della mistagogia - quando, soprattutto con il crescere dei neofiti adulti, ritornerà nelle nostre comunità - sarà il tempo adatto nel quale essi proseguendo con la comunità nella meditazione del Vangelo, nella partecipazione all'eucarestia e nell'esercizio della carità, coglieranno sempre meglio le profondità del mistero pasquale10.
Ora si tratta di far posto nel progetto del catecumenato a questa dimensione e di sviluppare con gradualità, al suo interno, l'educazione alla carità, colta nei suoi fondamenti biblico-teologici, nelle sue implicanze ecclesiologiche e vissuta nel servizio concreto al prossimo soprattutto ai poveri. Perché questo avvenga e necessario che nella comunità ci siano "spazi" e luoghi di servizio e che si crei raccordo tra gli organismi pastorali della chiesa locale che, per competenza, debbono sviluppare le diverse dimensioni di cui abbiamo brevemente trattato11.
Siamo convinti che una proposta chiara e coerente di catecumenato potrebbe trovare in molti parroci e nelle loro comunità, viste le nuove urgenze pastorali, una accoglienza più ampia di quanto non si pensi.
 

III. indicazioni per un itinerario di evangelizzazione degli immigrati

 
Linee per un itinerario concreto desunte dall’esperienza, con l’indicazione di metodo: dall’aiuto, alla accoglienza e alla evangelizzazione.
 
* Due sono i punti di riferimento che rientrano e nello stesso tempo delimitano la nostra riflessione e la nostra ricerca:
 
- il primo é costituito dal fenomeno della immigrazione sempre più esteso e vario, che da anni ormai ha portato e continua a portare sul nostro territorio uomini e donne appartenenti ad altre culture e ad altre religioni, in particolare all'Islam. Per questo l'immigrazione non può più essere considerata un fatto eccezionale, una emergenza: ha assunto ormai i caratteri della continuità e dell’ordinarietà.
 
- il secondo é la comunità cristiana che, “improvvisamente”, almeno da noi in Italia, si è trovata davanti e addirittura a diretto contatto quotidiano, con religioni diverse. La comunità cristiana qui la consideriamo, come di fatto è, il soggetto pastorale che ha il compito anzitutto di capire e poi di riflettere sul problema, promovendo un rapporto dialogico con coloro che non sono cristiani in ordine al dovere primario che essa ha di annunciare loro la salvezza in Cristo. Essa perciò non può guardare al fenomeno dell’immigrazione come "ad una grande scomodità", ma come una opportunità storica e pastorale di grandissimo rilievo.
 
* Il problema dell’evangelizzazione degli "stranieri" si pone ormai su due versanti: 
 
1. il primo é costituito dalla richiesta dei soggetti interessati, che desiderano conoscere la religione cristiana e domandano di essere accolti nella comunità ecclesiale;
2. il secondo è dato dal superamento da parte degli operatori pastorali della fase iniziale dell’"assistenza" e dall’aiuto materiale a quella che guarda all’’identità culturale dell'immigrato che non può essere colta prescindendo dalla sua appartenenza religiosa che ne costituisce l'elemento qualificante e decisivo.
 
* L'azione pastorale deve tener presente che gli immigrati venuti da noi si dividono in due grandi categorie:
 
A) i cattolici: gli immigrati in Italia sono per la maggior parte cristiani, anche se sono in aumento i musulmani.
A differenza di quanto avviene all’estero, in Italia é scarsa la domanda di immigrati cristiani che chiedono un luogo di culto, o un tempo proprio per le celebrazioni liturgiche o per incontri di preghiera. Questo può dipendere dal fatto che le nostre comunità - e in esse gli operatori dediti all'accoglienza degli immigrati, hanno posto quasi esclusivamente l’accento sull’aiuto "materiale” trascurando invece i loro bisogni spirituali. Ciò è avvenuto o per mancanza di sensibilità pastorale o per paura di essere fraintesi e poi accusati di un uso strumentale della carità per ottenere una conversione o per rendere facile una partecipazione attiva alla vita della comunità cristiana, o infine per un errore di prospettiva, nel senso che qualche operatore ha pensato e pensa che il Vangelo va annunciato solo con la testimonianza della carità e non anche apertamente con la evangelizzazione esplicita, cioé con la parola e poi, a suo tempo, con la catechesi, come avviene da sempre in terra di missione.
 
Infatti vi sono "guide" curate da gruppi di ispirazione religiosa che danno indicazioni "dove dormire”, "dove mangiare", "dove fare una doccia", dove soddisfare esigenze culturali, educative, o di tempo libero, ma che non offrono nessuna indicazione circa i luoghi di culto e di preghiera per gli immigrati.
Questo approccio esclusivamente assistenziale é un errore, perché incompleto in se stesso e parziale nei confronti degli immigrati la cui fede corre seri pericoli se non è curata e sostenuta.
Questo spiega la crescita di adesione da parte di immigrati cattolici alle sette, dove si sentono maggiormente accolti e soddisfatti nelle loro esigenze religiose.
 
A questo proposito è bene tener presente:
 
- quanto indicato nel documento del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso e della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli:  “Dialogo e annuncio”, che già nel titolo, unisce due dimensioni che devono integrarsi e che non possono essere, se non con grave danno, separate o peggio contrapposte. Nessuno dei due basta a se stesso.
 
- e quanto esige la nuova evangelizzazione che, oltre l’annuncio, prevede come esito dei momenti istituzionali, quali l’inserimento graduale nella vita della comunità e l’iniziazione ai contenuti della fede e ai sacramenti, quali si hanno nel catecumenato, se non ci si vuole ridurre ad una forma di generale ( generica?) proclamazione rivolta a tutti, senza proporre un cammino personale di fede attraverso un programma di passaggi e di tappe previste.
Il contesto naturale di questo itinerario sta nelle chiese locali che tali si dicono perché legate ad un territorio, quale realtà culturale e antropologica ed ad una comunità dove si celebra l’eucarestia.
 
B - gli appartenenti ad altre religioni, in particolare all’Islam.
 
I bisogni religiosi ancora vistosamente ignorati in Italia, sono fondamentali nella vita degli immigrati, più di quello che lo sono nella vita di tanti italiani.
Vi é una “diaconia fidei” che la comunità cristiana é chiamata ad esercitare e sviluppare in rapporto agli immigrati appartenenti ad altre religioni: l’obbligo primario del cristiano e della chiesa è quello dell’evangelizzazione, che comporta l'annuncio esplicito del vangelo, la catechesi, l’impegno a far giungere a maturità la
fede mediante un itinerario di formazione permanente.
 
Per raggiungere questo obiettivo bisogna percorrere la "via della conoscenza": conoscere le altre religioni e le culture e l’ambiente in cui si sono sviluppate, almeno negli elementi qualificanti;
- sapere ciò che pensano del cristianesimo;
- identificare e superare i pregiudizi che reciprocamente ci condizionano;
- presentazione di un cristianesimo de-occidentalizzato;
- preparare la comunità cristiana e gli operatori pastorali al nuovo impegno di evangelizzazione che dagli anni '70 ha maturato una prospettiva nuova, così riassumibile: dal catechismo alla catechesi, dalla catechesi al catecumenato.
 
Valutare con saggezza i problemi inerenti alle nuove presenze tra noi, ma anche i riflessi positivi suscitati nelle nostre comunità e nell’azione pastorale, che richiedono criteri nuovi   e orizzonti nuovi. E allora: quali metodi e quali strumenti adottare?
Ci sono già delle esperienze significative in atto dalle quali si può partire e sulle quali riflettere per progettare al meglio una "proposta" per le nostre comunità .
 
 
 
NOTE:
 
1)      Vedi “Dizionario di Pastorale di Comunità cristiana” a cura di V. Bo, C. Bonicelli I. Castellani F. Peradotta alla voce Catecumenato di E. Alberich pp. 123-133. Ed. Cittadella, Assisi.
2)      R. Falsini: “ Catecumenato, istituzione aperta “in settimana” n. 3 1992 11.
3)      Ne è spia eloquente anche il significato che si dà comunemente al termine “praticante”, applicato al cristiano che partecipa all’eucarestia, non già a chi la testimonia nella vita con l’amore al prossimo e con le opere buone.
4)      Prendendo a poco a poco con la familiarità con l’esercizio della vita cristiana, aiutati dall’esempio dei garanti e dei padrini, anzi dai fedeli di tutta la comunità, i catecumeni si abituano a pregare Dio, a testimoniare la fede…3 a donarsi nell’amore al prossimo fino al rinnegamento di se stessi” (Rito della iniziazione cristiana degli adulti CEI, Introduzione al rito, n. 19)
5)      A nessuno è lecito partecipare all’eucarestia se non a colui che crede essere vere le cose che insegnamo e che sia stato purificato da quel lavacro istituito per la remissione dei peccati e la rigenerazione e poi viva così come Cristo ci ha insegnato” (“dalla Prima Apologia a favore dei cristiani” di S. Giustino martire, cap. 66; PG 6, 431).
6)      Cfr. l’Esortazione apostolica “Catechesi tradendae” di Giovanni Paolo II.
7)      Messaggio del IV sinodo dei Vescovi al popolo di Dio, n. 8.
8)      L’esperienza liturgica deve proiettarsi nell’impegno della carità e della giustizia e le comunità cristiane ne devono dare concreta testimonianza soprattutto nel territorio in cui vivono con le opere educative ed assistenziali della Comunità, con la qualificata presenza nelle iniziative e nelle istituzioni pubbliche e con il contributo del volontariato” (“La Chiesa in Italia e le prospettive del paese”, 19; 1981).
9)      Due elementi sembrano essere veramente essenziali nella iniziazione: l’ingresso in una comunità e l’ingresso in un mondo di valori spirituali in vista di una vita e di una missione”. Così J. Ries in “I riti di iniziazione e il sacro” in J, Ries (a cura) “I riti di iniziazione” – Milano 1989,25)
10) Ibid. n. 37.
11) Per alcuni aspetti di carattere generale qui accennati e per quanto riguarda in particolare l’educazione alla carità vedi: “La catechesi come itinerario di educazione alla carità” di L.B. in “Diaconia della carità nella pastorale della chiesa locale” – Ed. Gregoriana, Padova

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