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MARIA SATOKO KITHARA
 
 
Da Buddha a Cristo
 
Nasce a Tokio nell’agosto 1929. Le condizioni agiate della famiglia - il padre è un noto docente universitario - le consentono di dedicarsi con serenità agli studi fino a conseguire la laurea in farmacia. Seguendo lo spirito della religione buddhista si propone, aiutata dall’educazione familiare, di mettere in pratica quei "precetti di vita "che conducono ad acquisire lo stato di “liberazione perfetta” dalle ”illusioni terrene"e di pervenire allo "stato di illuminazione"che produce pace e felicità. Il metodo seguito e quello della non-violenza, che si traduce nel rispetto della vita, nell’amore per la natura e nello sforzo di cooperare ad una pacificazione universale, come frutto anzitutto di un atteggiamento mentale che aiuti l’eliminazione alla radice della violenza nella vita quotidiana e in seguito di una azione sociale che renda possibili, per tutti gli uomini, condizioni di esistenza almeno tollerabili. Cresciuta secondo questa filosofia subisce un trauma tremendo allo scoppio della seconda guerra mondiale - durante la quale perde un fratello - e soprattutto dopo Hiroshima e Nagasaki, - agosto 1945 - la vita non e più la stessa per lei, come per nessun altro. Nel suo animo avviene un profondo cambiamento, che la spinge a  ripensare il significato della vita. Mentre e in questo stato tipicamente buddhista -  di continua ricerca della verità - circostanze particolari la mettono a contatto con la Chiesa Cattolica, verso la quale nutre da  tempo una forte attrattiva. Incontra fratel Zeno Zabrowski, polacco, assai conosciuto per la sua attività a favore dei poveri a qualsiasi religione appartengano: egli lavora a Tokio in una missione fondata da P. Massimiliano Kolbe, il martire di Aushwitz. Mossa dalla grazia e favorita dal clima di rispetto per la libertà personale che regna in famiglia, si fa catecumena e poi viene battezzata il 30 novembre 1949.
 

Tra i cenciaioli del “Villaggio delle formiche"
 

Spinta dal desiderio di aiutare coloro che vivono in condizioni di estrema povertà a causa della recente guerra, accoglie con gioia l' invito di fratel Zeno ad occuparsi di una delle categorie più miserabili: quella dei cenciaioli che, a migliaia, vivono alle sbando, ai margini delle strada, nei sottopassaggi o, per i più fortunati, in baracche senza luce e senza acqua. La miseria materiale nella quale si trovano è aggravata dallo stato di emarginazione sociale dalla quale non riescono ad uscire, anche perché sono comunemente considerati vagabondi, colpevoli di esserlo, e ladri e perciò sono mal tollerati dalle autorità politiche e dalla opinione pubblica.
E così che Maria, nel 1951, in prossimità del Natale, mette piede, in località Asakusa, alla periferia di Tokio, in un quartiere di baraccati, abitato esclusivamente da cenciaioli, chiamato emblematicamente Arinomachi, cioè ”Villaggio delle formiche", per significare lo stato di dimenticanza e di anonimato in cui vivono, il sovraffollamento e la dura necessità di raccogliere - tra i rifiuti e per la strada, anche le cose più piccole onde sopravvivere. In principio si prende cura dei ragazzi: li assiste nel fare i compiti, desiderosa di aiutarli a farsi rispettare dagli insegnanti e dai compagni di scuola che li trattano da inferiori: cura i malati mettendo a profitto la sua preparazione professionale. Occupa così la sua giornata e la sera rientra in famiglia.
Nonostante gli sforzi, non le é facile - a motivo della diversa condizione sociale e dell’educazione ricevuta - capire il linguaggio dei cenciaioli e farsi capire. Si sente ancora estranea e guardata come tale: ha l’impressione che il suo gesto di generosità sia frainteso. Ne ha infatti la conferma quando uno di essi le dice in faccia: ”Tu sei ricca e vieni qua perché non sai come impiegare il tempo e a stare a casa senza far niente ti annoi"; ed ancora: "Voi cristiani cercate soltanto la nostra gratitudine, fate il bene non per bontà ma per orgoglio"
A queste difficoltà si aggiungono le pressioni dei genitori preoccupati del ”buon nome "della famiglia, delusi che la figlia non pensi al suo avvenire, sia umano che professionale. ”Il tuo proprio dovere - le dicono - é di preoccuparti di te stessa. Se un giorno ti trovassi sola e in miseria credi che i cenciaioli ti aiuterebbero?". Ed essa risponde: "Non lo credo, ma questo non significa nulla".
E’ ad un bivio. A motivo di queste incomprensioni è tentata di riprendersi ciò che ha dato. Si rende conto che ”amare é doloroso"e che se vuol continuare deve lottare contro l’orgoglio che resiste e contro l’incomprensione degli altri, lontani e vicini. La preghiera e il desiderio insopprimibile di imitare i santi la rendono forte anche se si sente umanamente sola.
Dopo lunga riflessione conclude: "I miei sforzi sono inutili se non mi stacco da tutte le cose che amo". E allora che decide - ricordandosi della frase di Cristo "chi ama il padre e la madre più di me non é degno di me" - di abbandonare definitivamente la famiglia e le comodità della sua condizione per poter abitare al ”Villaggio delle formiche" e dividere con cenciaioli la precarietà della vita e la lotta per la sopravvivenza fisica e sociale.
Ma non le basta. Vi é un ulteriore gradino da scendere per essere alla pari ed è quello che le costa di più: farsi cenciaiola come loro e con loro. E ci riesce. Va anch'essa per le strade, con la cassetta sulle spalle, a raccogliere tra i rifiuti, incurante della gente che la guarda e la riconosce, quel poco di utilizzabile che vi trova.
 
 
Una carità che conduce allo fede
 
 
Ormai é coinvolta fino in fondo: donandosi senza riserve si sente  libera dentro e nei rapporti con la società. Quando sa che il potere politico vuole disperdere i cenciaioli si mette dalla loro parte usando tutti i mezzi che può, anche se la salute é già compromessa gravemente dalla tubercolosi causata dagli stenti e dalle fatiche. Scrive un libro a loro difesa destinato ai politici e da alle stampe un opuscolo dal titolo ”Recuperare i rifiuti " per illustrate all'opinione pubblica il lavoro svolto dai cenciaioli: minaccia uno sciopero della fame, nel caso vengano prese misure repressive, ”decisa a restare seduta al freddo davanti al palazzo municipale senza mangiare e senza bere". L'ultimo gesto e quello di offrire - ormai allo stremo delle forze - la sua vita a Dio perché si compia il desiderio dei suoi poveri di avere dal Comune la concessione di un terreno su cui costruire un villaggio nuovo. "La mia vita é diventata inutile, cosi l’ho offerta a Dio in cambio di un pezzo di terra". E l’ottiene. Tanta generosità tocca le coscienze: ”Abbiamo capita dalle sue parole e più ancora dal suo modo di vivere che il cristianesimo insegna a pensare agli altri prima che a se stessi".
Un gruppo di uomini e di donne buddhisti chiedono di essere istruiti nella fede cristiana e vengono battezzati poco tempo prima della sua morte, che la coglie a soli 29 anni. Ora tutto il Giappone parla della figlia del ”professore", che i mezzi di comunicazione sociale hanno definitivamente battezzato con il nome di "Maria del Villaggio delle formiche".
  
BIBLIOGRAFIA
Bibliotheca Sanctorum, op. cit., I appendice, voce corrispondente
Maria del Villaggio delle Formiche, di Giannina Facco, ed. Messaggero, Padova
Maria del Villaggio delle Formiche, di M. Toru, Parma 1968
Maria Satoku, di K. Kimski, Tokio 1971, ed. italiana tradotta da T. Saibo e A. Avoli in "Il missionaria francescano', rivista n. 5, 1976 di E. Piacentini

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